J-Ciak – L’Israel Prize al Violinista
È uno di quei film che accedono un tifo da stadio. Lo ami alla follia e ti commuovi fino alle lacrime. O scappi a gambe levate, arricciando il naso davanti a tanto “shtetl kitsch” (la definizione è di Philip Roth). Malgrado ciò, o forse proprio per questo, “Il violinista sul tetto” ha sette vite come i gatti. Non solo il musical è destinato a tornare in scena quest’autunno a Broadway, avviandosi a diventare uno degli spettacoli più longevi della storia. Ma il film, tratto dal musical, torna alla ribalta grazie all’Israel Prize alla carriera che fra una settimana sarà conferito a Chaim Topol, oggi 89enne, leggendario protagonista de “Il violinista sul tetto” (1971) nel ruolo di Tevje il lattivendolo.
Dopo le polemiche che due mesi fa avevano visto Benjamin Netanyahu allontanare tre giurati poco graditi, provocando le dimissioni di altri sei componenti e il ritiro di alcuni candidati – tra cui David Grossman – l’Israel Prize pare tirare il fiato puntando sulla tradizione, quanto meno in campo cinematografico. Se Topol si porta a casa il suo meritato riconoscimento alla vita e alla carriera, il premio per il cinema va infatti a David Gurfinkel, regista di alcuni classici israeliani, tra cui “Hashoter Azulai” (1971), “Hagiga B’Snooker” (1975) e Kazablan (1973), quest’ultimo prodotto da Menahem Golan come altri due film prodotti negli Stati Uniti come “The Delta Force” (1986) e “Over the Top” (1987), diretti da Gurfinkel.
L’Israel Prize omaggia così un momento storico del cinema israeliano, più volte rievocato lo scorso anno in occasione della morte di Menahem Golan, che spesso ha lavorato sia con Gurfinkel sia con Topol. Quest’ultimo debutta proprio nel primo lavoro di Golan, il noir “El Dorado” che nel 1963 vende quasi 800 mila biglietti: un record in un paese che allora conta circa due milioni di abitanti. Un anno dopo Golan produce “Salah Shabati”, scritto e diretto dall’umorista Efraim Kishon. E protagonista è di nuovo Chaim Topol, nei panni di un ebreo yemenita da poco immigrato in Israele che combatte con incerti e sorprese della sua nuova vita. Il film, delizioso, è candidato all’Oscar ed è il primo lavoro israeliano a vincere il Golden Globe per il miglior film in lingua straniera.
Il ruolo più celebre, quello di Tevje il lattivendolo, arriva nel 1971 con il film di Jewison – allora accolto dal New York Times come uno dei migliori lavori mai realizzati. Con un guizzo sorprendente, Topol qui abbandona le usanze e le inflessioni mizrahi che gli avevano regalato il successo in “Salah Shabati” e si cala nella quintessenza della yiddishkeith, trasformandosi in un ebreo ashkenazita, nato e cresciuto in uno shtetl russo.
Potete amarlo o detestarlo. Ma il villaggio russo di Anatevka in cui il lattivendolo Tevje – uno dei personaggi più riusciti dello scrittore Scholem Aleichem – vive assieme alle sue cinque figlie è tra i luoghi che hanno segnato l’immaginario ebraico collettivo.
Certo, è intriso di facile nostalgia, romanticizzato, banalizzato, perfino kitsch (Roth parlava del musical, ma il film non è troppo diverso). E per molti versi il film può apparire superato, basti pensare alla strepitosa lunghezza delle canzoni. Ma Tevje, con i suoi dubbi, i suoi sogni di ricchezza, la sua incredibile capacità di sperare, ancora oggi rimane uno dei personaggi simbolo di quel mondo cancellato dalla furia nazista.
Daniela Gross
(16 aprile 2015)