…Shoah

Il giorno della Shoah – il Giorno della Memoria nella versione degli ebrei, perché il 27 gennaio dovrebbe essere, anche se non sempre è, il Giorno della Memoria nella versione dei non ebrei – rappresenta ogni anno di più un vero dilemma.
Oggi il più giovane dei sopravvissuti deve avere 70 anni e quindi sono rimasti pochissimi quelli che allora avevano più di 20 anni. Il ricordo diretto della Shoah è rimasto dunque nelle menti e nei cuori di coloro che allora erano infanti o bambini o giovinetti. Non esistono quasi più sopravvissuti che già allora erano portatori di una vita adulta. Il ricordo della Shoah come esperienza diretta e vissuta sta inevitabilmente entrando nella fase terminale, dopo la quale resterá solamente la Shoah come esperienza appresa e virtuale. D’altra parte il rincorrersi delle diverse ricorrenze annuali – il 27 gennaio, quella di oggi, e per gli ebrei italiani anche il 16 ottobre – rischia di produrre un effetto di sazietà e di insofferenza.
Non è facile rinnovare gli annuali rituali commemorativi, come non lo è trovare il giusto filo conduttore fra le diverse opposte narrative – il gregge condotto al macello di fronte all’eroica lotta di resistenza dei più forti e alla dignitosa sofferenza di tutti, la ritrovata coscienza nazionale nella propria patria territoriale in Israele di fronte alla testimonianza dall’interno delle identità nazionali dei vari paesi del mondo, l’unicità storica della Shoah degli ebrei di fronte all’universalità se non alla qutidianità di mille altri genocidi. Per non dire, infine, dell’appropriazione indebita, dell’oblio, o perfino del vilipendio della nostra storia e identità che ai giorni nostri sono sempre più frequenti. Alle nuove generazioni è essenziale trasmettere la storia ma in tutta la sua complessità. E la storia, contrariamente a un’opinione molto in auge ancora pochi anni fa, non è finita.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

(16 aprile 2015)