Qui Roma – Sefarad e l’identità virtuale

Yehoshua Roma Grande affluenza domenica pomeriggio al primo appuntamento del Festival Kosher ‘Sefarad a Roma’, in cui lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua ha incontrato il pubblico presso la Reale Accademia di Spagna a Roma.
“L’identità sefardita attraverso i secoli e i continenti”, questo il tema dell’intervento tenuto dalla scrittore israeliano Abraham Yehoshua nella giornata inaugurale del festival ‘Sefarad a Roma’ organizzato dall’Azienda Romana Mercati, azienda speciale della Camera di Commercio per lo sviluppo e la promozione del sistema agroalimentare.
Un intreccio di storia personale e riflessione storica che, nella cornice della Reale Accademia di Spagna, ha tentato di definire il bagaglio identitario degli ebrei originariamente provenienti dalla Spagna.
“Con la cacciata degli ebrei la Spagna ha subito una grandissima perdita dal punto di vista culturale”, ha affermato il direttore dell’accademia Fernando Villalonga Campos. “Oggi – ha aggiunto – qui siete a casa vostra”. Hanno poi portato i loro saluti il presidente della Comunità ebraica Riccardo Pacifici, che ha sottolineato come la Comunità sia “rinata grazie agli ebrei sefarditi, non solo nei numeri ma anche nella vitalità”, e il direttore generale dell’Azienda Romana Mercati Carlo Haussman, che dando la parola a Yehoshua ha evidenziato il ruolo della “dimensione del racconto, che sarà centrale per tutto il festival. Ha introdotto lo scrittore e moderato l’incontro il giornalista e coordinatore del Festival Stefano Caviglia.
Raccontando la storia personale di suo padre, Yehoshua ha quindi messo in evidenza il fatto che gli ebrei sefarditi, anche quando con la Spagna non hanno mai avuto alcun contatto, non soltanto sentono un attaccamento molto forte nei confronti del paese e individuano con orgoglio la loro origine nella Sefarad, la Spagna, ma sono anche affetti da un senso di perdita. “In fin dei conti uno penserebbe che gli ebrei avessero voluto nel tempo cancellare spagnoli che li avevano espulsi, e invece perché mai considerano la loro eredità spagnola come se fosse una pietra preziosa incastonata nella loro stessa identità?”, si è chiesto. Si tratta secondo lo scrittore di una “identità spagnola virtuale”, che resiste ai secoli e fa sì che esista una particolare connessione per la quale gli ebrei continuano a sentirsi profondamente sefarditi. Lo scrittore individua tale connessione nell’eredità culturale che deriva dalla compresenza in Spagna durante il suo Secolo d’Oro di tre componenti, quella cristiana, musulmana ed ebraica, che “vivendo in simbiosi si sono mischiate nella memoria e nell’identità, dando vita a un dialogo tripartito che nel tempo continua a mormorare sotto la superficie”. Questo ricordo, che ha “fecondato l’identità sefardita virtuale”, è secondo lui “l’elemento interno che ha dato vita a un gene culturale che ha generato tolleranza e pluralismo, trasmessa di generazione in generazione”. Così si spiegherebbe anche il clima triste e nostalgico che permea ad esempio i canti popolari in ladino, la cui presenza ha nutrito gli ebrei sefarditi anche quando le loro lingue erano totalmente diverse. “L’esistenza inconscia dell’altro nell’identità sefardita ha dato all’ebreo sefardita un cuore forse più pesante e più triste, ma di sicuro lo ha reso più tollerante”. Un pluralismo che, ha concluso lo scrittore, si ritrova in tutto il Mediterraneo, regione unica al mondo sotto questo punto di vista e culla delle più grandi civiltà – quella greca, quella romana, quella ebraica, cristiana e musulmana – in cui Israele si inserisce a pieno titolo. E il vero senso di tale pluralismo non risiede in ultima analisi per Yehoshua nel folklore dei canti popolari o nei modi di pregare in sinagoga, ma in “una missione politica di pace e tolleranza”.

f.m. twitter @fmatalonmoked

(20 aprile 2015)