In ricordo del Maestro

Locci_nl_newUno stato d’animo già compromesso in questi ultimi tempi, è stato scosso ulteriormente dalla notizia improvvisa e inaspettata della morte di un maestro che ha contraddistinto la mia formazione sotto molteplici aspetti. Certo, aveva novantanove anni e le condizioni di salute erano da qualche tempo altalenanti, ma l’idea della sua morte non mi sfiorava minimamente. Per me era come se fosse stato avvolto da un’aura di protezione che lo doveva portare a festeggiare il suo centenario di vita. Ma questo era, forse, più un desiderio mio, nostro, degli altri al di fuori di lui…
Non ho potuto assistere alla sepoltura, la logistica del funerale e il complicato collegamento ferroviario tra Padova e Livorno non me l’hanno permesso, ma almeno non mi hanno impedito di dargli il mio saluto ed essere vicino a lui in quell’ora di celebrazione nell’atrio antistante al Tempio di Livorno.
Ho salutato gli avelim, recitato salmi, ascoltato gli interventi e atteso fino alla sua partenza verso il cimitero, in quel momento un pensiero è andato anche a sua moglie, la signora Lia, e poi di corsa alla stazione per l’ultimo treno che mi avrebbe riportato a casa. Nell’affanno, nonostante i tempi stretti per il viaggio, ero sicuro che nulla sarebbe andato storto.
Durante il viaggio di ritorno, ho pensato a cosa avrei potuto dire, sempre se l’emozione me lo avesse permesso, visto che nel cerimoniale era previsto l’intervento dei rabbini presenti.
Avrei posto l’accento sulla caratteristica essenziale, a mio avviso, di Rav Elihu Refael ‘Azriel ben HaRav Shabbetay Toaff z.l., la continua e determinata azione di difesa e tutela della propria Comunità. Tra il 1981 e il 1998, sono cresciuto avendo davanti questo esempio e su questa direttrice dal 1999 sto cercando di operare.
Ciò è stato, e per far sì che avvenisse, il “Moreno”, dimostrava sempre una grande determinazione che, in alcuni, sembrava sconfinare in autoritarismo. Era invece, ai miei occhi, vera autorevolezza… Ma anche questa è stata la sua forza: autorità e autorevolezza, sempre accompagnate dalla capacità di accogliere tutti “besever panim yafot”, con viso lieto (Avot 1:15).
Io-e-Rav-ToaffQuando prestavo servizio all’Ufficio Rabbinico a Roma, ricordo che la sua presenza in ufficio era costante, da domenica a venerdì dalle 10 alle 13.30. Tutte le persone che venivano per esser ricevute da lui, anche quelle senza appuntamento, anche per soli pochi minuti, uscivano con la percezione di essere state accolte e ascoltate. “A volte, possiamo anche non riuscire a risolvere un problema ma, ascoltando, possiamo sempre aiutare la persona a risolverselo da sola…”
Il carattere della persona, è certamente l’elemento che di più determina la capacità di relazione con gli altri. Ma un carattere si può modellare, e anche modificare se necessario, come ben si evince dalle parole della cantica di Davide che abbiamo letto nel settimo giorno di Pesach. Anche questa era una peculiarità del “Moreno”.
Nel rito italiano, nei giorni di Rosh Chodesh, l’altro ieri 30 di Nissan (giorno della sua morte) e ieri 1 di Iyyar (giorno della sua sepoltura), abbiamo letto il Salmo 8.
Nel verso 6 è scritto: “Lo hai fatto “di poco” inferiore a una creatura divina e lo hai incoronato di gloria e splendore”.
Il senso piano del versetto si riferisce all’essere umano che è stato posto nel creato per dominare, elaborare e proteggere la creazione divina. Un’altra interpretazione, invece, sostiene che il verso si riferisca a Moshè Rabbenu che, con la sua azione di guida e maestro, si è elevato a livelli che hanno sfiorato la divinità. Tuttavia, Moshè Rabbenu, era sempre un essere umano…
Forse, solo ora riesco a spiegarmi sia un sogno su di lui fatto circa due anni fa – che non gli ho mai confidato – sia il fatto che ultimamente dicesse che non sarebbe arrivato a compiere cento anni (la data ebraica era anche più lontana, il 16 di Iyyar).

È rimasto “di poco” al di sotto di un età che, se raggiunta, per questo sarebbe stato miticizzato, cosa che penso non avrebbe voluto.

Ritengo che Il suo ricordo non debba essere trasmesso per “miti”, ma attraverso un’azione quotidiana volta a portare avanti e far crescere di più quel che ci è stato trasmesso. Nella sua morte, “il Moreno”, ha forse voluto lasciarci quello stesso messaggio che ha cercato di trasmettere in tutta la sua vita. Rimanere umani, con pregi e difetti, sempre consapevoli della grandezza della facoltà umana che deve volgere al bene comune.

Questo è quello che avrei detto…forse.

Tehy Nafshò Tzerurà Bitzror HaChayym

Adolfo Locci, rabbino capo di Padova