Ticketless – Vite svitate

Cavaglion “Svita” di Luciano Cesare Bassani (Edizioni Nuages) è una delle prime autobiografie di ebrei italiani nati negli anni Cinquanta. Gente, a partire dal sottoscritto, la cui vita definire ‘svitata’ è dire poco.
Avere vent’anni nei Settanta è esperienza da non augurare ai figli. Ci vuole coraggio a cimentarsi con la memoria di sé, fare i conti con la svitatezza propria e altrui senza provare vergogna o mentire a se stessi. Bassani ha avuto questo coraggio, ha scritto un libro onesto; forse perché è un medico, ha scritto un libro si direbbe di autocoscienza psicoanalitica, che si apprezza innanzitutto per il senso dell’umorismo.
Per apprezzarlo bisogna però oltrepassare i difetti tipici di quasi tutte le autobiografie ebraiche che si conoscono e cioè il vezzo genealogico, il continuo gioco un po’ pettegolo delle parentele, quello è figlio di questo e questo è cugino di quell’altro.
Possibile che ogni volta che ci mettiamo a parlare di noi dobbiamo sempre partire da un argomento così noioso come le parentele? Un difetto, sia ben chiaro, che si ritrova pari pari nelle memorie valdesi. Un gioco al massacro genealogico che bisognerebbe superare. Qualche volta bisognerebbe sforzarsi di essere diversi da quello che gli altri si aspettano da noi, ma è un limite che si perdona volentieri a Bassani. Al netto del reticolo famigliare, il libro offre un’analisi lucida dello stato dell’ebraismo attuale, non è condizionato da nessun ideologismo e contiene documenti importantissimi: in primis una memorabile lettera-testamento del padre Bruno.

Alberto Cavaglion

(22 aprile 2015)