Protagonisti della Liberazione
Le Comunità ebraiche dell’Italia, della Germania e dei paesi che furono occupati dai loro eserciti sino al 1945 subirono il proditorio e ignobile tradimento degli Stati che avevano contribuito a formare e dei quali erano parte integrante e cittadini di pieno diritto. Non fu solo un tradimento di tipo teorico, ideologico o culturale, fu una vera e propria aggressione fisica, un genocidio che privò tutti dei diritti fondamentali e infine dello stesso diritto alla vita.
Quando poterono, gli ebrei si difesero e combatterono anche quando sapevano di andare verso una morte certa, in quanto come civili inermi si trovarono a lottare contro l’esercito più potente d’Europa. In Italia varie centinaia di civili ebrei si congiunsero con i gruppi di partigiani che avevano fissato le loro basi nelle zone montagnose e più inaccessibili delle Alpi e degli Appennini.
Dalle ricerche degli storici emerge che i partigiani ebrei furono oltre 500, un numero in proporzione non irrilevante, e di essi sette furono decorati con la medaglia d’oro per l’eroismo dimostrato; voglio ricordare i loro nomi: Eugenio Calò, nato a Pisa, moglie e figli catturati, combattente in Valdichiana, catturato e morto sotto tortura; Eugenio Colorni, nato a Milano, uno degli ideatori del Movimento Federalista Europeo, morto in un attentato fascista a Roma; Eugenio Curiel, nato a Trieste, direttore dell’unità clandestina, uno dei fondatori del Fronte della Gioventù, morto in un attentato fascista a Milano; Sergio Forti, nato a Trieste, combattente nei pressi di Norcia, individuato dai tedeschi salvò due compagni e si sacrificò colpito dal fuoco nemico; Mario Jacchia, nato a Bologna, avvocato antifascista, comandante delle forze partigiane in Emilia, fu torturato e ucciso dai tedeschi; Rita Rosani, nata a Trieste, insegnante alla scuola ebraica, si unì ai partigiani nella zona di Verona dove morì combattendo; Ildebrando Vivanti, nato a Brescia, si unì ai partigiani della valle di Gesso, ferito in combattimento, fu condannato a morte. Si tratta di storie poco conosciute e che non dovrebbero essere dimenticate.
Ma il contributo dei combattenti ebrei alla lotta di liberazione contro il fascismo e il nazismo ha anche un’altra fisionomia, in quanto circa 5mila uomini, in maggioranza provenienti dalla Palestina sotto mandato britannico, ma anche da altri paesi del mondo, formò nel 1944 la Brigata Ebraica, incorporata nell’esercito della Gran Bretagna che risalì tutta l’Italia da Sud a Nord e si distinse per le azioni compiute sul fronte emiliano-romagnolo nella primavera del 1945. Tra le altre si ricorda l’azione intrapresa fianco a fianco con il gruppo di combattimento Friuli, che portò il 10 e l’11 aprile di quell’anno allo sfondamento della Linea Gotica sul fiume Senio, al travolgimento della Quarta Divisione Paracadutisti e all’ingresso nelle località di Riolo Terme, Cuffiano, Torranello, Monte Ghebbio, Castel Bolognese e Bergullo. Tre giorni dopo la Brigata Ebraica entrò a Imola e una settimana dopo a Bologna. Nei combattimenti molti furono i feriti e oltre 40 i caduti, la gran parte dei quali è sepolta nel cimitero militare di Piangipane, nei pressi di Ravenna, dove ogni anno si tiene una solenne cerimonia commemorativa.
Alla vigilia di quelle battaglie il corpo, che fino ad allora aveva portato le insegne assegnate dagli inglesi, fu autorizzato dalle Nazioni Unite a portare la bandiera degli ebrei che lottavano per la creazione in Palestina del futuro Stato di Israele. Vale la pena riflettere sulle parole pronunciate in quella circostanza da Moshe Sharett, rappresentante all’estero del corpo di combattenti: “Soldati della Brigata Ebraica combattente, in questa bandiera ci siete voi tutti, gli ebrei di Palestina, del mondo e i milioni che non potranno più combattere per essa, siatene degni. Essa è simbolo di riscatto e di speranza per la nostra gente, è il motivo per cui noi tutti oggi ci troviamo qui”.
In queste giornate di preparazione alla prossima festa della Liberazione stiamo assistendo a un vivace dibattito che trae origine dall’accoglienza ostile che le insegne della Brigata Ebraica hanno trovato nel corso delle celebrazioni e dei cortei degli anni scorsi.
Il prossimo 25 aprile cade di sabato, giorno nel quale non è possibile per gli ebrei una partecipazione attiva alle cerimonie. Ciò non toglie che questa ricorrenza non può che trovare unite tutte le componenti dell’antifascismo anche per affermare e ribadire una inconfutabile verità storica.
Per questo motivo si è sviluppato un positivo confronto tra l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, da me rappresentate, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, rappresentata dal presidente Carlo Smuraglia, e l’Associazione Nazionale Reduci dalla Friuli, rappresentata dal presidente Romano Rossi, i quali hanno convenuto e pubblicamente affermato che la Brigata Ebraica “rappresenta combattenti per la libertà” e che pertanto esiste il suo pieno diritto a partecipare in tale occasione al corteo e alla cerimonia commemorativa portando le proprie insegne.
È significativo quindi rilevare come gli ebrei abbiano partecipato alla Liberazione in due vesti, quella di partigiani e quella di militari in divisa. Chi nega questo fatto, offende la memoria di chi cadde, la verità storica e la coscienza dell’Italia. E anche se vi sarà l’impossibilità di essere fisicamente in piazza, da parte degli ebrei italiani vi sarà partecipazione profonda e sentita alla ricorrenza.
A dimostrazione della necessità di mantenere la massima coesione e collaborazione tra tutte le forze democratiche e antifasciste del nostro paese, senza mai interrompere un costruttivo dialogo anche qualora dovessero sorgere diversità di opinioni, ritengo infine doveroso rendere pubbliche alcune lettere pervenute all’UCEI nei giorni scorsi.
Ritengo che sia l’inizio di un indispensabile e positivo chiarimento, che non sarebbe avvenuto se si fosse interrotto il dialogo e se fosse prevalso il rifiuto a collaborare per un fine comune.
Renzo Gattegna, presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
(23 aprile 2015)