Padova – Ritorno in sinagoga

padova“Il saluto che faccio al vescovo Mattiazzo è quello del salmo ‘Benedetto colui che viene nel nome del Signore’, perché se il primo incontro poteva essere espressione di ritualità, questo è di sincera amicizia”. Sono le parole usate dal rabbino capo Adolfo Locci nell’accogliere il vescovo di Padova Antonio Mattiazzo nella sua seconda visita in sinagoga, a 21 anni dal primo incontro avvenuto quando guida spirituale della Comunità era rav Achille Viterbo.
Al centro del confronto i temi del dialogo e i difficili scenari del presente. Come ricordato dal presidente della Comunità ebraica Davide Romanin Jacur, che ha esortato: “È nostro comune dovere, assoluto e per scelta ragionata ed affettiva, esserci vicini: non soltanto in una condivisione del dolore, ma nel ricercare le maniere di difendere le popolazioni più deboli, quelle che vengono aggredite e impedire che vengano distrutte intere culture e possa prevalere soltanto la protervia della violenza e della paura”. Lo stesso monsignor Mattiazzo, il cui mandato scadrà il prossimo 18 giugno, ha invitato a vivere l’incontro “in un clima di apertura, di amicizia, di dialogo e di impegno comune per i gravi problemi che affliggono l’umanità, come le ingiustizie, l’antisemitismo e il terrorismo”.
Tra le esperienze che hanno segnato positivamente la collaborazione tra Comunità ebraica e mondo cattolico rav Locci ha sottolineato la nascita di un gruppo di studi sull’ebraismo attivo (con successo) da ormai molti anni. “Voglia il Signore che dalla relazione tra Chiesa cattolica ed Ebraismo possa sempre sgorgare linfa per garantire pace e benedizione per tutti” ha sottolineato il rabbino capo ricordando il contributo offerto in questo senso dal rav Elio Toaff, suo stesso maestro.
Folta la presenza istituzionale in sinagoga. In visita tra gli altri il prefetto Patrizia Impresa, il questore Gianfranco Bernabei, il comandante del reparto operativo dei carabinieri Francesco Rastelli.

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(29 aprile 2015)

Di seguito il testo integrale dell’intervento tenuto dal presidente Davide Romanin Jacur:

Sua Eccellenza, a nome di tutti i componenti della Comunità Ebraica ed a nome delle Autorità Civili, Religiose e Militari e dei Cittadini presenti, Le do il benvenuto e La ringrazio di aver voluto l’organizzazione di questo evento.
Come Lei stesso mi aveva voluto anticipare, quando camminammo a fianco l’1 di gennaio di quest’anno in occasione della Giornata Mondiale delle Pace; poche settimane prima dell’esaurimento del Suo mandato alla più alta carica religiosa della Città; a ricordo della Sua prima visita in Sinagoga del 21 giugno ‘94 , mentre la cattedra di Rabbino Capo era retta dall’indimenticato Rav. Viterbo: anche questa visita è densa di significati e riempie di orgoglio la nostra piccola Comunità.
Non va dimenticato che a Padova, nella nostra Città, la Storia ha fornito degli esempi irripetibili: dal fatto che l’Università abbia sempre accolto e laureato (forse unica in Europa) gli studenti ebrei; all’aver accolto in Padova Pensatori e Maestri i cui responsa valevano per gran parte dell’ebraismo diasporico e sono tuttora studiati nell’intero mondo ebraico; dall’istituzione del Collegio Rabbinico di Padova, che poi fu trasferito ed è quello vigente a Roma; al periodo d’oro dell’Ebraismo Padovano, all’inizio del secolo scorso, esempio incredibile di integrazione e compartecipazione, in cui le maggiori cariche elettive erano ricoperte da iscritti alla Comunità Ebraica.
La Storia ci ha lasciato anche grandi motivi di tristezza e lutto: dalle (troppe) azioni mirate contro gli Ebrei, generalmente al fine di nasconderne altre meno nobili, alla reclusione nel ghetto; dalle nefandezze delle bande fasciste-populiste, alla immane tragedia della Shoah, cui, purtroppo, anche Padova diede il suo non indifferente contributo. Ma molto poi cambiò per merito della eccezionale forza di volontà di tre Pontefici, figure che mi permetto di esaltare : Giovani XXIII°, Giovanni Paolo II° e Francesco, al quale tutto il mondo, noi compresi, guarda oggi con grandissima ammirazione, fiducia e speranza.
Nei vent’anni trascorsi dalla Sua precedente visita, anche nella nostra Città si sono molto sviluppate le relazioni tra Cattolicesimo ed Ebraismo, le occasioni di incontro e di lavoro o presentazione pubblica comune: cito ad esempio le conferenze ed le ripetute occasioni di dialogo presso la Casa Lazzati, gli ottimi rapporti con la Comunità di Sant’Egidio, gli interventi negli ambiti ecclesiastici di Sant’Antonio e Padre Leopoldo e quelle in giro nella vasta Diocesi, in occasione della settimana di gennaio; ma anche il lavoro, spesso svolto insieme, nei viaggi per studenti e per adulti nei campi di sterminio e nei luoghi “perduti” della cultura ebraica, nelle conferenze e nei convegni didattici, nelle presenze al fianco delle Istituzioni.
Questo intenso lavoro, che ha il fermo obiettivo di cambiare progressivamente una “Cultura” precedentemente contrassegnata dal vilipendio e dalla connotazione di prevalenza, diventa sempre più attuale e necessario, in un momento storico, quale quello che stiamo vivendo, in cui, non solo si deve ragionare in maniera totalmente nuova sui concetti di altruismo,accoglienza, integrazione e fratellanza; ma pone l’Umanità di fronte a nuovi eccidi di violenza inaudita, nuovi germi dei concetti di genocidio, che speravamo poter rimanere confinati nel “secolo breve”.
Allora, ed in ordine decrescente di una spaventosa contabilità, l’Umanità ha assistito in maniera pressoché silente al genocidio Ebraico, a quello Armeno, a quello Cambogiano e, poi ancora, a quello dei Tutsi del Rwanda, nel Darfur, degli Indios Maya (parliamo degli anni ’80), dei Curdi dell’Iraq e degli Hutu del Burundi: per restare “soltanto” sopra le centinaia di migliaia di vittime.
Oggi, sui media si inseguono le notizie di continui molteplici eccidi, utilizzati anche con scopi beceramente mediatici e di minaccia, che hanno il sostanziale obiettivo di colpire la Cristianità ed ancora l’Ebraismo; anche se, talora, mascherati dal mancato riconoscimento di luoghi, focolari e Stati secolari, dove Popoli che vi si identificano, possano condurre la propria esistenza.
È quindi nostro comune dovere, assoluto e per scelta ragionata ed affettiva, esserci vicini: non soltanto in una condivisione del dolore, ma nel ricercare le maniere di difendere le popolazioni più deboli, quelle che vengono aggredite ed impedire che vengano distrutte intere culture e possa prevalere soltanto la protervia della violenza e della paura. Non credo di sbagliare molto, se dico che sta ai nostri due popoli salvare (ancora!) l’Umanità da questo nuovo oscurantismo; ricordando il ceppo ed i principi della nostra comune origine, ove non ha alcuna importanza la primogenitura, ma l’essere fratelli.
Sua Eccellenza, sono certo che, dopo la fine del Suo mandato, La troveremo ancora al fianco dei più deboli ed a difesa delle giuste cause dell’Umanità.
Marceremo ancora insieme, ci batteremo contro l’egoismo e l’ignoranza di tutti i Medioevi.

Davide Romanin Jacur, presidente Comunità ebraica di Padova

(29 aprile 2015)