Qui Torino – Una storia di Resistenza
Sulle “note resistenti” delle Primule Rosse, gruppo musicale emergente, si è aperta la serata organizzata dall’Asset, Associazione ex allievi e amici della scuola ebraica di Torino, in memoria di Walter Rossi, partigiano ebreo, fucilato appena ventenne al Pian del Lot, sulle colline torinesi, assieme ad altri venticinque ragazzi. Ogni anno da cinque anni, spiega Giulio Disegni, presidente dell’Asset e vicepresidente UCEI, l’Associazione ex allievi ricorda la Resistenza attraverso la figura di un “resistente” attraverso testimonianze e video. La serata è stata dedicata a Walter Rossi, ma vengono ricordati altri nomi di giovani militanti partigiani, molti rimasti vittime della furia nazi-fascista, tra cui Emanuele Artom. Segue la lettura di un breve discorso che Liliana Picciotto, direttrice delle ricerche storiche del CDEC e consigliere UCEI, ha inviato alla Comunità per annunciare che tra le prossime iniziative del Centro c’è la volontà di iniziare una ricerca specifica sulla partecipazione degli ebrei nella Resistenza Italiana.
Prende poi la parola la figlia di Carmela Maglio Levi, per leggere ciò che la madre aveva scritto come testimonianza in ricordo di Walter Rossi, suo cugino. Segue la testimonianza di Leila Sacerdote Scheitlin, cugina prima di Walter Rossi, che dice: “Andavamo sovente a trovare i nostri zii e Walter lo ricordo sempre chino sui libri, studiava assiduamente per prepararsi per la maturità; avrebbe voluto fare il medico”. Walter Rossi, racconta Leila, una volta scappato a Ferrara, rientrò poi in Piemonte e si avvicinò alle bande partigiane della Val Pellice, dove divenne infermiere nell’ospedaletto di Pian del Prà: era troppo gracile per combattere. “Lo chiamavano zanzara”, ricorda Leila, proprio per la esile costituzione. Nel marzo del 1944 venne catturato, dopo che il nemico diede fuoco all’ospedale. Walter fu costretto a rivelare dov’erano nascosti i compagni, altrimenti li avrebbero arsi vivi. Venne poi trasferito dal carcere di Luserna alle “Nuove” di Torino e dopo indicibili torture, il 2 aprile lo trasportarono assieme ad altri ventisei ragazzi al Pian del Lot, dove venne costretto a scavarsi la fossa. I ragazzi vennero colpiti da una scarica di proiettili, pochi morirono sul colpo, molti caddero nella fossa ancora vivi e agonizzanti. Ma i loro carnefici coprirono le urla e lamenti con la terra. Uno di loro sopravvisse: venne salvato da una persona che dopo aver sentito le mitragliatrici andò ignaro sul luogo della strage, sentì dei lamenti provenire da sotto la terra e così salvò l’unico superstite, nascondendolo poi a casa sua. Grazie a lui si scoprì la fossa comune, gli altri corpi e l’orribile vicenda.
Sono le parole di Massimo Ottolenghi a fornire un’altra testimonianza, attraverso un’intervista rilasciata nel 2003 a Istoreto. Nei ricordi di Massimo si avvicinano e si fondono due figure, quella di Walter Rossi e quella di Emanuele Artom. Due grandi uomini, accumunati da una gracilità e debolezza del corpo, ma non dello spirito. Massimo aveva aiutato Walter nello studio per passare la licenza liceale, mentre di Emanuele era stato compagno di banco per due anni. Massimo aveva poi aiutato i genitori di Walter, zii di sua moglie, cercando di metterli in contatto con la procura consegnando egli stessi degli esposti per far luce sulla drammatica vicenda del figlio, ma rimasero inascoltati.
Sempre Ottolenghi nel 2013 ricorda Walter Rossi in occasione della cerimonia al Pian del Lot: “Dove ora si erge questa stele, una grande fossa comune accolse, falciati dalle raffiche, ancor vivi e agonizzanti, i corpi di ventisette giovani, tutti affratellati nel sangue e nella sventura”. Nel suo discorso ricorda quello della madre di Walter, Itala Ghiron, che su quella stessa fossa nel 1946 disse: “Ora ognuno di noi ha ventisette figli da onorare. Per parte mia sono in grado di rievocarne soltanto uno, lo chiamavano zanzara, era un’anima buona. Aveva la colpa imperdonabile di essere ebreo e lui lo aveva dichiarato, quasi come una sfida, in risposta a chi lo aveva accusato di essere un vigliacco perché non si era ancora arruolato”. La madre di Walter si pronunciò contro la retorica e coreografia di sempre e concluse con amare parole: “Non vi è parola o pensiero adeguato per ricordare, può esserci solo silenzio. Oggi non siamo ancora degni di dire, di invocare valori, di ricordare questi morti. Non si può testimoniare se dal loro sacrificio non si è imparato niente, non si può se non si è capito che la libertà e la democrazia, una volta conquistate, vanno difese”.
Sono le note delle Primule Rosse ad accompagnare la fine della serata, il centro sociale si riempie di parole musicate del Canzoniere Partigiano. L’obiettivo di questo gruppo è quello di ricostruire la storia attraverso una passione civile che si fonde con quella musicale. Ed è così che la memoria cantata prende forma attraverso le canzoni che hanno accompagnato i partigiani. La memoria va cantata Oltre il ponte, è la memoria della Resistenza, di chi non vuol chinar la testa, perché a vent’anni la vita è altre il ponte. Sembra quasi che il giovane Walter abbia passato il testimone ad altre giovani per portare avanti il proprio ricordo.
Alice Fubini
(30 aprile 2015)