Restituiranno

Francesco Moisés Bassano«Mottel corse alla catasta, raccolse un pezzo di carbone, e scrisse sull’intonaco bianco della villetta [del lager] cinque grosse lettere ebraiche: VNTNV. V’natnu “Ed essi restituiranno”»
Con queste ed altre parole, Primo Levi nel romanzo “Se non ora, quando?” (1982), raccontò la storia di una formazione partigiana ebraica che aderì alla resistenza antinazista nell’Europa centrale ed orientale. Un’opera tra le meno conosciute di Levi, che s’ispira a delle vicende storiche ancora inesplorate, almeno nel nostro paese. Lo stesso paese dove ogni anno, viene contestata da parte di sostenitori della causa palestinese la partecipazione dei rappresentanti della Brigata Ebraica con i loro vessilli, durante le manifestazioni del 25 aprile.
Per cercare di comprendere le motivazioni di questa avversione si potrebbe prendere come riferimento un recente articolo dal titolo “La Brigata ebraica e il 25 aprile. Ma di cosa si sta parlando?” pubblicato su Contropiano, un giornale ‘comunista’ online, che attribuirebbe, in maniera inconcludente, la critica nei confronti della Jewish Brigade, al fatto che la sua partecipazione sarebbe relativamente nuova e motivata dall’atteggiamento filo-sionistico dei suoi appartenenti, che “al contrario non ricorderebbero a dovere, il contributo ebraico alla resistenza sotto altri gruppi misti, come Giustizia e Libertà e le Brigate Garibaldi”. L’accusa sembrerebbe dunque quella di revisionismo, di aver sostituito una narrazione “scomoda” con una più “fedele alla linea” ed attuale, ma in sostanza il vero torto, è quello che la Brigata Ebraica fosse una formazione dichiaratamente sionista, perché formatisi in Palestina, dove i suoi membri si sarebbero poi riuniti in gran parte nell’Haganah, combattendo quindi per la nascita dello Stato d’Israele. Un’argomentazione analoga, almeno per il primo punto, è stata affrontata anche da Gad Lerner sul suo Blog, che più pacatamente invita, come spiega parte del titolo dell’articolo, a “non importare la guerra del Medio Oriente nella festa del 25 Aprile”.
Premettendo che non sembra mancare nel contesto ebraico la memoria degli altri partigiani ebrei, più volte ricordati anche ultimamente nell’intervento di Liliana Picciotto e del presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna. Se la colpa sarebbe invece quella che la Brigata Ebraica, rappresenti una forza sionistica, bisognerebbe constatare anche che l’antisionismo, almeno quello non-ebraico, è anch’esso un fenomeno relativamente recente e anacronistico, perché prima e durante la nascita dello stato d’Israele mancava quella contestazione che ha luogo ai nostri giorni. E al tempo stesso, durante la resistenza ebraica contro il nazi-fascismo, il ritorno in Erets Israel era visto da buona parte dei partigiani ebrei come una speranza e una salvezza, in opposizione ad un’Europa dilaniata dall’intolleranza e dalle dittature, divenuta un interminabile Lager. Anche gli stessi “gedalisti” del romanzo di Levi sognavano la Palestina, “una terra sterile, in cui tutti siano liberi ed uguali, in cui non ci sia denaro, ma ognuno lavori secondo le sue capacità e riceva secondo i suoi bisogni”.
Il sionismo tendeva così ad integrare e a confondersi con il socialismo e l’antifascismo, facendo sì che gli unici veri antisionisti del tempo, escluse alcune correnti ebraiche interne, fossero i nazi-fascisti. Oggi chi protesta contro la partecipazione della Brigata Ebraica – o meglio, “ebraica” – alle manifestazioni del 25 Aprile, dovrebbe allora riflettere se il loro antisionismo nasca da quegli ideali di libertà e giustizia che la liberazione avrebbe dovuto portare con sé, o se piuttosto non sia scaturito superstite proprio da quella stessa intolleranza che, come altre, ci illudevamo fosse già stata respinta proprio nel 1945.

Francesco Moises Bassano

(1 maggio 2015)