Sindaco, manager o dittatore?

anna segre Vale la pena tornare a parlare di scuola, perché questa settimana è stato decisamente un argomento caldo. Mi riferisco in particolare alla questione che pare essere la più calda di tutte, la proposta di rafforzamento delle funzioni del preside. Preside-sindaco, preside-manager o preside-dittatore?
Nessuna di queste tre immagini mi convince: un sindaco, un manager, e in una certa misura persino un dittatore, hanno un interesse diretto nella prosperità della propria città/azienda /Paese. Un preside a che cosa aspira? È logico supporre che prima di tutto desideri non avere troppi grattacapi con allievi e genitori scontenti che protestano per i brutti voti. Dunque, chi preferirà tra un insegnante rigoroso e uno lassista? Tanto più che una scuola da cui gli allievi escono tutti con voti molto alti fa bella figura di fronte al mondo esterno, e facilmente attira molte più iscrizioni di una scuola che ha la fama di essere dura e difficile. Del resto i voti alti e l’aumento delle iscrizioni sono con ogni probabilità le due principali aspirazioni di un preside dopo la tranquillità. Poi forse al quarto posto possiamo immaginare che tra le sue preoccupazioni ci siano i risultati ottenuti dagli ex allievi nel proseguimento degli studi e nel mondo del lavoro, ma in che misura questi sono oggettivamente misurabili? Secondo me poco, meno di quanto si pensi, perché la carriera degli ex allievi sarà influenzata da un tale numero di altri fattori (possibilità economiche, conoscenze, parentele, ecc.) che la qualità dell’istruzione ricevuta finirà in molti casi per non essere determinante. Lo studio e la cultura – noi ebrei lo sappiamo bene – sono valori in sé, ma non sono valori misurabili. Contribuiscono al benessere dei singoli individui e della società in generale, ma solo sul lungo periodo e con modalità che difficilmente permettono riscontri.
Dunque, le immagini del sindaco e del manager suonano decisamente forzate. D’altra parte non mi convince neppure l’immagine di una scuola dove la libertà di insegnamento enunciata nell’articolo 33 della nostra Costituzione viene interpretata come diritto di insegnare ciò che si vuole e qualunque forma di controllo viene considerata un attacco alla democrazia. Se un preside che sanziona – per esempio – un insegnante negazionista è un dittatore, ben venga la dittatura. Ma è facile supporre che la sanzione al negazionista, se affidata esclusivamente al preside, arriverà solo in caso di seccanti proteste di allievi e genitori.
A mio parere, dunque, i controlli sono più che legittimi, purché siano affidati a qualcuno che abbia davvero gli strumenti per controllare, ed anche un minimo di interesse a farlo bene. Perché anche dalle persone più oneste e competenti del mondo non si può pretendere che lavorino costantemente contro il proprio interesse.

Anna Segre, insegnante

(8 maggio 2015)