Oltremare – Salita a Gerusalemme
L’autista chiede “prendo a destra o diritto?” e un coro di israeliani per nulla indispettiti risponde d’un fiato ” a destra, poi scendi lì vedi la fermata dell’autobus? La superi e da lì tutto dritto”. Il coro tace e io mi domando quando mai diventerò una vera e totale israeliana. Perché per adesso in situazioni come queste prevale ancora la sorpresa, anche se l’assurdo di dover essere noi viaggiatori a insegnare la strada all’autista, giá non mi urta.
Eccoci qui, in autostrada con un guidatore che non sa uscire da Tel Aviv e vedremo se sa entrare in Gerusalemme. Il verde delle colline già ci accompagna. Fosse un nuovo immigrato sarebbero partite domande a onde, da un capo all’altro dell’autobus, con signore che propongono uno shidduch e altri che scoprono parentele e luoghi in comune, a spasso per generazioni e paesi nel mondo.
Invece questo autista è israeliano per nascita, si sente dall’accento, ed è concentratissimo nella guida. È anche paziente con il bus che fa un po’ fatica mentre si inerpica per la salita decisa verso Gerusalemme: scala le marce ma quello non risponde, e arranchiamo. Intorno, stanno costruendo un treno (superveloce, narra la leggenda, che ci porterà a santificarci al Kotel in quaranta minuti netti dal centro di Tel Aviv), e intanto che il treno rimane leggenda stanno raddoppiando quasi tutta la mulattiera che vorremmo un giorno chiamare autostrada.
È durante le mie rarissime salite a Gerusalemme, che rifletto sulle contraddizioni di questo paese, tutto lanciato verso il futuro, tutto un pullulare di start-up e centri di sviluppo di ogni tecnologia, mentre per raggiungere la capitale si viaggia ancora con fatica non giustificata. Sogno l’apertura di una linea di elicotteri, o di una funivia, ma in certi momenti di sconforto e di ingorgo anche una fionda formato gigante farebbe miracoli.
Daniela Fubini, Tel Aviv twitter @d_fubini
(11 maggio 2015)