Qui Roma – Progetto Talmud, sfida viva
Le sfumature della traduzione, le sfide di un’impresa dal valore universale, la coscienza del proprio ruolo. Questi i temi che gli operatori del Progetto Talmud hanno avuto modo di affrontare insieme al rav Adin Steinsaltz in occasione di un incontro svoltosi presso Collegio Rabbinico italiano.
Il Progetto Talmud è partito nel 2011 con la sottoscrizione di un Protocollo d’intesa, siglato da presidenza del Consiglio dei ministri, Consiglio nazionale delle Ricerche, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Collegio Rabbinico. Obiettivo: portare a termine la traduzione del testo in italiano.
Quello con il rav Steinsaltz, introdotto dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, è stato un momento importante di confronto all’interno di un percorso. Un confronto che il rav ha voluto partisse proprio dalle domande del pubblico, composto da addetti ai lavori e non. “Le risposte del rav anche alle domande più semplici sono sempre le più profonde, oltre ogni immaginazione” la sottolineatura di Clelia Piperno, presidente del Consorzio ‘Progetto traduzione Talmud babilonese’.
Così il rav – le cui risposte sono state tradotte dal maskil Gadi Piperno – ha potuto addentrarsi in vari aspetti che riguardano l’opera di traduzione e in particolare soffermarsi sui rischi in cui può imbattersi il traduttore. “Parlare troppo conduce sempre verso il peccato”: questo, a suo dire, il primo errore da evitare. Il traduttore non deve quindi usare troppe parole e citare troppe fonti, e se vi fossero passi controversi o difficoltà di interpretazione del significato di una parola, è bene “che essi siano lasciati anche all’interno della traduzione dove effettivamente si trovano, affinché essa rispecchi il testo quanto più precisamente possibile”. Così facendo, ha spiegato, si fornisce una buona traduzione, e starà all’intelligenza del lettore capire il messaggio che vi viene espresso, e anzi dalle sue domande potranno nascere interessanti spunti di riflessione e approfondimento.
Procedendo tra gli intricati passi talmudici, in cui il ragionamento procede spesso per salti concettuali, per quanto sia naturalmente necessario rendere conto nella traduzione dell’utilizzo di ogni parola, bisogna tuttavia resistere alla tentazione di “comunicare tutta la nostra saggezza” e, in ultima analisi, “annegare nelle nostre parole”.
“Al tempo di Rashi ogni goccia d’inchiostro aveva un costo elevatissimo, e questo limitava tale rischio. Oggi invece con il computer l’unica spesa è quella del nostro tempo, e quindi – l’appunto del rav – bisogna stare ancora più attenti”.
Prima regola dunque, nella traduzione come nella vita, evitare l’eccesso di zelo. “Dobbiamo sempre cercare il ‘tov’, il bene, che corrisponde all’angelo della vita, e mai il ‘tov meod’, l’ottimo, che corrisponde all’angelo della morte”.+
Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked
(12 maggio 2015)