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Rav Elio Toaff (z.l.) l’ho conosciuto davvero poco. Come molti altri, ne ho vissuto la figura da lontano.
Ricordo di più i suoi figli, tutti al tempo bambini, come chi scrive: se ne andò da Venezia quando iniziavo le elementari. Quel che è certo però è che a Venezia, nei ricordi di chi lo visse negli anni dell’immediato dopoguerra, rav Toaff ha lasciato un ricordo di simpatia e di grande calore, distribuiti senza distinguo a una comunità uscita dalla distruzione e dalla disperazione.
Ricordo solo che quando partì per Roma con la sua famiglia pensai a lui come oggi penserei a un grande calciatore acquistato dalla Juventus. Qui, assieme a Bruno Polacco (z.l.), che gli era accanto come sublime hazzan, aveva formato una grande piccola squadra. E a Bruno Polacco, sapendo il legame di affetto che li univa, credo che a av Toaff non dispiacerebbe essere accostato in questo ricordo. Il contatto con lui rimase, negli anni per molti veneziani, nelle lacrime che sgorgavano a fiumi quando, all’uscita di Kippur, ascoltavamo alla radio la sua berakhàh, e la sua voce era tutt’uno con quella dello shofar.

Dario Caliman, anglista

(12 maggio 2015)