La scommessa dei libri
Un locale nato da pochi mesi, libreria e bistrot insieme, e un caffè che esiste da cent’anni con una libreria al suo interno: interessante ieri sera il confronto tra Deborah Tagliacozzo della libreria Bardotto di Torino e Loriana Ursich della libreria caffè San Marco di Trieste.
Confronto da cui sono emerse lievi differenze (nella scelta dei libri da esporre, nel modo di suddividerli) ma anche curiose somiglianze. Già di per sé Trieste e Torino hanno qualcosa in comune: ieri sera è stata descritta molto efficacemente la Trieste del secolo scorso, un ambiente ricco di personalità eccezionali; anche a Torino conosciamo questa sensazione di un mondo straordinario passato pochi decenni prima di noi per gli stessi luoghi che frequentiamo quotidianamente. Due mondi – quello triestino ma anche quello torinese – a cui l’ebraismo non è estraneo. Per entrambi i locali è emerso il piacere di coniugare cibo, convivialità e cultura, l’orgoglio di una sfida che appare controcorrente, quella di vendere libri in un contesto storico in cui sembra che il digitale sia destinato a soppiantare il cartaceo nel giro di pochi anni.
Una serata piacevole, proprio quello che ci voleva dopo un pomeriggio passato sulle prove Invalsi. Non a correggerle, si badi bene (cosa che avrebbe avuto un minimo di senso) ma semplicemente a digitare sul computer le risposte (A, B, C, D, vero/falso, ecc.) che gli allievi avevano segnato sui fascicoli cartacei. Tre-quattro ore di lavoro faticosissime e sostanzialmente inutili, perché sarebbe bastato trovare il modo di dotare almeno per un giorno ogni alunno di un computer per evitare agli insegnanti questo lavoro certosino e frustrante. In effetti il contrasto tra le due parti della mia giornata non avrebbe potuto essere più netto: da un lato la carta scelta consapevolmente, il piacere di essere circondati dai libri, di tenerli in mano e sfogliarli, la carta come simbolo di valori ancora vivi. Dall’altro la carta imposta con arroganza da chi finge che non ci sia, da chi ha deciso che si può e si deve farne a meno ma poi non si preoccupa o non è in grado di fornire supporti alternativi, la carta come immagine di una scuola che vuole rinnovarsi senza averne i mezzi.
C’è modo e modo di non essere al passo con i tempi.
Anna Segre, insegnante
(15 maggio 2015)