Expo 2015 – Cibo e democrazia per tutti
Berna riafferma gli ideali
La presidente della Confederazione elvetica Simonetta Sommaruga ha visitato nelle scorse ore a Milano l’Esposizione universale Expo 2015 celebrando la Giornata nazionale della Svizzera. Accolta da Giuseppe Sala, Commissario unico delegato del governo per Expo Milano, e Bruno Pasquino, Commissario generale di Expo 2015, la rappresentante di Berna ha visitato il Padiglione Italia e, per prima fra i Capi di Stato, ha sottoscritto la Carta di Milano che connette le politiche dell’alimentazione e i valori delle democrazie.
Nel numero di maggio attualmente in circolazione, il giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche dedica alla presenza svizzera all’Expo un ampio servizio rendendo omaggio all’opera di Friedrich Traugott Wahlen, l’eminente stratega e politico dell’agricoltura e dell’alimentazione che riuscì, durante il Secondo conflitto mondiale, a garantire alla Confederazione alpina, unica democrazia dell’Europa continentale, le risorse alimentari necessarie per resistere all’assedio dei regimi nazisti e fascisti e per trarre in salvo decine di migliaia di perseguitati.
Quando Berna rinunciò alle sue violette
Attraverso i cristalli splendenti del solenne edificio, gli occhi sgranati dei parlamentari che si erano concessi una pausa dai lavori di Commissione si erano posati su una visione sconcertante. Mentre l’Europa ardeva nelle fiamme, le impeccabili, eterne violette che da sempre in perfetto ordine adornano le aiuole attorno al santuario della democrazia svizzera erano state sradicate e travolte a colpi di zappa dalla malagrazia di un gruppo di energumeni in canottiera. Di lì a poco quel leggiadro, curatissimo fazzoletto di giardino sarebbe stato degradato a un volgare campo di patate. Non furono pochi, superato lo sbigottimento, i politici convinti che questa volta si fosse davvero passato il segno. Il mandante di un tale scempio, lo sfrontato che aveva messo in piedi una provocazione tanto inaudita, doveva essere fermato al più presto.
In definitiva, in quel giorno incredibile del 1940, in gioco c’era il decoro dell’ultimo Parlamento democratico sul Vecchio continente. Parigi era ormai caduta, la Svizzera irrimediabilmente stretta su ogni confine dalla morsa delle dittature. L’Italia fascista, la Germania hitleriana, l’Austria umiliata dall’Anschluss, la Francia invasa e in ginocchio.
Non restava più un solo varco aperto per la piccola repubblica delle Alpi. Raccolto a Berna, il discreto mondo politico elvetico era profondamente diviso. La tentazione di cedere e lasciare che Berlino e Roma, direttamente o indirettamente prendessero il controllo, sembrava incombente. Ma alla vigilia di un cedimento cui alcuni sarebbero stati ormai pronti, altri lavoravano in silenzio per preparare una disperata, categorica resistenza. Alcuni politici risoluti, fedeli al mandato che gli svizzeri si tramandano di generazione in generazione di tutelare con ogni mezzo l’indipendenza nazionale. Alcuni imprenditori lungimiranti, convinti già da allora che, al di là delle apparenze, il Secondo conflitto mondiale avrebbe alla lunga provocato la caduta rovinosa delle dittature. Qualche uomo di fede. Qualche generale ambizioso e ansioso di mostrare i muscoli di un esercito formidabile, addestrato a difendere la pace con le armi in pugno. Degli inguaribili idealisti provenienti dal mondo dell’attivismo sociale e culturale. E Friedrich Traugott Wahlen, un agronomo solitario, a lungo inascoltato, che per combattere lo strapotere delle dittature si era fatto idee assai originali.
Non appena reso visibile agli occhi dei passanti, fu subito chiaro che lo scempiodelle violette di Berna era opera sua e dei suoi fedelissimi. Non era trascorso molto tempo da quando un suo memorabile appello pubblico lanciato da Zurigo attraverso i microfoni della radio aveva preso in contropiede i benpensanti e aveva finito per infiammare la popolazione. Parole semplici, ma appassionate, per chiamare la gente a realizzare la più grande trasformazione agricola della storia: liberare la Svizzera, allora dipendente per oltre la metà del proprio fabbisogno da importazioni ormai non più praticabili. Solo così né le armi, né la minaccia della fame sarebbero state capaci di piegare la piccola democrazia alpina.
Era proprio l’ombra di una incombente carestia, secondo Traugott Wahlen, l’elemento più minaccioso per la democrazia svizzera e chi non voleva la resa non aveva altro mezzo di difesa che trasformare rapidamente l’agricoltura e l’alimentazione. L’indipendenza alimentare come cardine della dignità e della difesa nazionale. Un sogno che sembrava allora così irraggiungibile da far passare chi ne vagheggiava per un pazzo visionario.
Traugott Wahlen era nato alla vigilia del Ventesimo secolo in un villaggio dell’Emmental bernese dove suo padre era maestro. Attirato dall’agricoltura fin da giovanissimo, all’inizio della Seconda guerra mondiale era già un affermato studioso di agronomia all’Università di Zurigo. Collabora-tore dell’Ufficio federale per l’alimentazione dal 1938, si trovò rapidamente di fronte al dramma dell’approvvigionamento alimentare di un paese ormai accerchiato. L’unica soluzione era conquistare l’autosufficienza alimentare, abbassando per la popolazione la soglia calorica e intensificando enormemente la produzione di cereali e soprattutto di patate. Traugott Wahlen andava in giro a predicare che ogni minimo lembo di terra, compresi gli impervi territori alpini, avrebbero dovuto essere coltivati. Che l’intera popolazione avrebbe dovuto essere chiamata a un immenso sforzo di solidarietà e di volontariato. Ma fu la sua capacità di legare la grande rivoluzione agricola all’orgoglio nazionale che scatenò il successo dell’operazione. “In questo paese – affermò infiammando l’opinione pubblica – non si cederà nemmeno un frammento di libertà per avere in cambio un pezzo di pane”.
Sulla sua via lo attendevano molti ostacoli. La pavidità del mondo politico. Gli interessi economici della lobby degli allevatori di bestiame. Le gelosie degli industriali e dei militari, impegnati a reclutare rapidamente il massimo della forza lavoro disponibile e a mobilitare i riservisti che sul modello organizzativo fatto proprio di lì a poco da Israele, fanno sì che una democrazia non abbia un esercito, ma se necessario sia un esercito. Ma la verità è che la travolgente adesione popolare all’immenso sforzo di conquistare l’autonomia alimentare, grazie alle donne, agli adolescenti, ai volontari di ogni ceto che decisero di impugnare la zappa e di arare le montagne, contarono di più del celebre giuramento che il generale Henry Guisan, comandante supremo delle forze nazionali di difesa, chiese a tutti gli ufficiali nell’ora più cupa sul mitico prato del Gruetli, dove secondo la leggenda la democrazia alpina si formò oltre mille anni fa. E contò di più del risveglio democratico degli uomini della Lega del Gottardo, che riaccendendo gli ideali della resistenza a oltranza contro ogni rischio di sopraffazione finirono per dare la sveglia anche ai signori di Berna.
Mentre il generale Guisan chiudeva le porte alle mire di Mussolini e Hitler, annunciando la dottrina militare del Ridotto territoriale e lasciando intendere che a fronte di un’invasione l’esercito era pronto a indietreggiare dalle difficilmente difendibili pianure meridionali e occidentali del Ticino, di Ginevra e di Basilea e ad arroccarsi per rendere la cintura alpina una roccaforte inespugnabile, Traugott Wahlen aveva già piantato la punta del suo aratro nell’occhio del mostro, dimostrando che la democrazia, la partecipazione e la solidarietà sono le armi più forti per combattere la minaccia della bestialità.
Di lì a poco lo stesso Guisan gli conferirà sul campo l’inedito grado di generale per lo sviluppo agricolo.
Nonostante l’impennata spettacolare della produzione agricola nazionale (nessun genere alimentare di origine vegetale fu mai razionato durante il conflitto, le superfici coltivabili raddoppiarono, la produzione di patate triplicò) e la realizzazione del più rivoluzionario piano di trasformazione agricola mai realizzato nella storia, le statistiche oggi dimostrano che l’orizzonte di allora era effettivamente un sogno: il tasso di autosufficienza alimentare fu raggiunto solo al 75 per cento. Ma calpestando le violette di Berna e restituendo alla gente la dignità e la speranza di potercela fare, Traugott Wahlen aveva già vinto la sua guerra.
Sono in molti, e non solo svizzeri, a doverlo ricordare. Fu grazie a quello slancio di dignità e di coraggio, grazie alla convinzione di essere padroni del proprio destino, che in mezzo a mille difficoltà e contraddizioni la Confederazione elvetica aprì le proprie porte a decine di migliaia di esiliati, di rifugiati, di esuli, di ebrei perseguitati, di combattenti per la libertà. Quando, alla fine della furia che distrusse l’Europa, le violette di Berna tornarono a fiorire, Traugott Wahlen puntava già verso Roma per dare il proprio contributo determinante alla nascita della Fao e alla guerra contro la miseria e la fame su scala planetaria. Attraversando le aiuole che adornano il Parlamento svizzero, dietro quei vetri che avevano visto vent’anni prima la sua sfrontata sfida di bombardare con le patate i signori della guerra, nominato Consigliere federale da un vero e proprio plebiscito, Friedrich Traugott Wahlen accettava il più alto incarico della democrazia alpina affermando che ogni sua energia “traeva origine dal desiderio di rispondere alla sola coscienza, al bene della popolazione e ai valori fondamentali delle democrazie progredite”.
Guido Vitale
Consumare. E riflettere
Una patata indossa il bikini. Un’altra si sbottona i pantaloni. A recitare sono dei normalissimi tuberi vestiti di sola buccia. Solo due esempi delle campagne d’opinione della potente organizzazione svizzera per la protezione e il coordinamento della produzione delle patate (www.swisspatat.ch) che è l’erede della rivoluzione agricola innescata da Friedrich Traugott Wahlen per vincere la pressione del nazifascismo. L’intensificazione e la protezione della produzione di patate resta una delle priorità del governo svizzero che favorisce lo svolgimento di intense campagne d’opinione affidate a grandi professionisti della comunicazione.
Anche uno degli slogan che accompagnano il lancio del padiglione nazionale svizzero all’Expo Milano 2015 elaborato in collaborazione con le Ferrovie federali elvetiche richiama la tentazione di venire a consumare un gustoso “roesti” (il tradizionale tortino di patate che costituisce la base dell’alimentazione semplice del paese alpino). Da sempre l’attenzione della Svizzera per la sperimentazione agricola e per la produzione alimentare avanzata ha accompagnato le ambizioni politiche ed economiche di Berna. E il padiglione elvetico, fra i più attesi e innovativi tra quelli che saranno visitati nella grande manifestazione internazionale, cercherà di rappresentare questa combinazione inimitabile fra storia, vocazione politica e tentativo di rendere gradevoli e accessibili i temi tanto complessi della tutela dell’ambiente, dell’equilibrio alimentare, della storia e della cultura del cibo. Realizzato in materiali quasi totalmente biodegradabili e recuperabili (le strutture saranno riportate in patria e tramutate in grandi serre) il padiglione ricorda che il ruolo dei sistemi avanzati non può solo essere quello di consumare, ma deve anche essere quello di impegnarsi per un’equa distribuzione delle risorse.
Nella sua riflessione sul tema di Expo Milano 2015 (Nutrire il pianeta, energia per la vita) la Svizzera, primo Paese ad aver aderito a Expo Milano 2015, riflette così sulla scarsità delle risorse alimentari nel mondo e mostra l’altra faccia dell’abbondanza. Il padiglione elvetico è costituito da quattro torri colme di generi alimentari dai quali il visitatore potrà attingere. Ma c’è un limite alle risorse disponibili. Superarlo significa privare gli altri visitatori delle stesse possibilità. Grazie alla modularità della struttura, mano a mano che le torri si svuotano il livello delle piattaforme su cui poggiano si abbassa, permettendo così al pubblico di visualizzare il proprio comportamento in relazione ai consumi. Il progetto, incentrato sulla disponibilità e sulla distribuzione delle risorse alimentari a livello mondiale, invita i visitatori a riflettere sul proprio comportamento di consumo.
Testimonianze, rari documenti d’epoca, filmati che testimoniano dello sforzo svizzero di resistere alla pressione delle dittature che circondavano la Repubblica alpina raggiungendo nel più breve tempo possibile l’autonomia alimentare. Il lavoro immenso di Friedrich Traugott Wahlen (1899-1985), che aiutò l’unica democrazia dell’Europa occidentale a resistere negli anni bui, è ora raccontato da tre documentari disponibili in DVD che possono essere richiesti dal sito www.friedrichtraugottwahlen.ch
A Mirchel, un villaggio di 500 abitanti nell’Oberland bernese, può essere visitato un piccolo museo allestito nella casa natale del grande agronomo, la Wahlen-Gedenkstube Appenberg. Una semplice targa di bronzo posta su una grande pietra fra i prati ricorda la sua figura, mentre a Wermatswil, non lontano da Zurigo, il visitatore può vedere la casa natale del grande riformatore dell’agricoltura svizzera Jacob Gujer (1716-1785) e una fontana dedicata al pensatore che ispirò Traugott Wahlen.
Da Pagine Ebraiche, maggio 2015
(19 maggio 2015)