Palmira
Lo scrittore americano Jonathan Safran Foer ha scritto anni fa un bel libro sul consumo di animali da parte degli umani. Si intitola ‘Eating animals’ e in italiano è stato tradotto ‘Se niente importa’. Non parlerò di questo tema – un mio chiodo fisso – anche se in questi giorni si è ricominciato, per fortuna, a denunciare le condizioni degli animali negli allevamenti intensivi. Vorrei soltanto prendere spunto da questo titolo.
Foer racconta che sua nonna, in fuga dai nazisti e prossima a morir di fame, rifiutò di cibarsi col maiale, nonostante il precetto ebraico prescriva di mangiarne in caso di pericolo di vita. La donna motivò così la sua rigidità: “Se niente importa, non c’è niente da salvare”. Ho ripensato a questa frase nei giorni scorsi, vedendo le immagini della città di Palmira nelle mani dei fondamentalisti dell’Isis. Visitai la città nel 2009 – una delle cose più belle che abbia visto in tutta la mia vita – e il pensiero che possa venire distrutta da guerriglieri disumani e ignoranti mi provoca un vero e proprio dolore.
Ho scritto su Facebook qualcosa del genere e mi è stato giustamente fatto notare che dopo quattro anni di guerra civile, 230 mila morti tra cui molti bambini, stupri, crocifissioni e violenze di ogni genere, indignarsi per un sito archeologico potrebbe suonare persino offensivo. Obiezione pertinente. Perché dunque il danneggiamento di un luogo può ferirci più di migliaia di morti (escludendo tra le cause possibili un cinismo assoluto del sottoscritto)?
Alcune ragioni sono note, come già spiegava Primo Levi. Ci colpisce ciò che conosciamo, storie singole e riconoscibili più di numeri enormi che la nostra mente fatica a visualizzare. Inoltre rinunciamo con difficoltà alle immagini: un sito che abbiamo visitato, o che comunque fa parte del nostro immaginario, ci avvicina più di una strage che non possiamo vedere. Ma forse c’è qualcosa di più. Ci sono simboli – in prospettiva ebraica non solo edifici, statue o città, ma anche odori, eventi, tradizioni – che fanno parte di noi, che compongono la nostra identità di individui e di gruppi. Questo avamposto dell’Impero romano a Oriente, un gioiello dell’architettura di tutti i tempi, probabilmente rientra nel novero.
Se non salviamo Palmira, cosa rimane da salvare?
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(26 maggio 2015)