Un rabbino indisciplinato
A proposito di preghiere per i governanti mi è tornato in mente un gustoso passo contenuto nel libro Memorie di vita ebraica di Augusto Segre, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita. Si parla della Comunità di Casale Monferrato, di cui il padre di Augusto Segre era rabbino. Naturalmente non è possibile trarre da questa storia nessuna indicazione per il comportamento da tenere in uno stato democratico qual è l’Italia di oggi. Mi piace comunque ricordare come un’identità ebraica forte sia stata in alcuni casi – e possa essere anche oggi – un baluardo contro frettolose fascinazioni.
Anna Segre, insegnante
“I contrasti con il Consiglio non mancavano mai e c’era, sempre, qualcosa da inventare per complicare ancor più una vita, come quella di un rabbino, che non è mai facile. Per esempio, mio padre si trovò sorpreso e imbarazzato, com’era facilmente prevedibile, quando per disposizione del Consiglio fu invitato ad aggiungere alla ormai tradizionale benedizione al re e alla famiglia reale, che da decenni si recitava al Tempio, il sabato mattina, anche quella al duce. La prima volta, quando si giunse a questa parte della funzione religiosa, un grande silenzio dominò la parte riservata agli uomini e il matroneo. Perfino le abituali conversazioni erano cessate come d’incanto. Ma si sentì solo il nome del re e della real famiglia. Un mormorio si diffuse per tutto il Tempio, il Presidente si recò subito dal Rabbino per avere spiegazioni. Mio padre si scusò col dire che si trattava solo di un’involontaria dimenticanza. In seguito tali distrazioni non furono più permesse. Veniva così fuori il nome di Mussolini, seguito da alcune parole che nessuno ovviamente capiva. Dal ’38 in poi, quella frase fu usata al plurale, coinvolgendo quindi anche Casa Savoia. Certo, viene da chiedersi, cosa avrebbero detto Presidenti e Consiglieri ed anche tutto il pubblico se avessero avuto una certa conoscenza della lingua ebraica?”
Da Memorie di vita ebraica di Augusto Segre
(29 maggio 2015)