identità…

Il complesso e ambivalente rapporto con la patria nella quale viviamo è stato spesso e strumentalmente interpretato come un comportamento di doppia lealtà, fino a giungere ad accuse estreme di sedicente tradimento. Talvolta l’inquietudine con cui si vive questa complessità si manifesta addirittura in questioni banali, come quando nei campionati mondiali di calcio del 1970, in cui si fronteggiavano Italia e Israele, si discuteva animatamente con gli amici a scuola per quale delle due squadre avremmo dovuto tifare. C’è chi si illude di risolvere questi temi con etichette preconfezionate, schierandosi dogmaticamente da una parte o dall’altra, esponendo le rispettive bandiere o cantando inni di uno Stato o dell’altro, come si trattasse di capi d’abbigliamento. Le questioni identitarie, quando autentiche, sono un po’ più complesse e articolate. Già il nostro patriarca Abramo si era presentato ai suoi vicini Chittei come “gher vetoshav”, “forestiero e residente” (Bereshìt; 23, 4). È una situazione paradigmatica del popolo ebraico impegnato per il progresso del proprio Paese e per il bene di tutti, ma ricordando che la partecipazione alla vita pubblica e a quella culturale non dovrebbe portare a nessuna rinuncia della propria peculiarità religiosa.

Roberto Della Rocca, rabbino

(2 giugno 2015)