“Con Spielberg per raccontare la nostra ferita”
Un argomento di ricerca storica, ma anche una ferita familiare ancora aperta per Elèna Mortara Di Veroli, studiosa e docente di letteratura americana all’Università di Roma, che nella primavera dello scorso anno consegnava il manoscritto “Writing for Justice” alla prestigiosa Dartmouth College Press. Uno studio in cui il caso Mortara si stacca dal fatto di cronaca ormai lontano nel tempo ed entra, parole del direttore della redazione UCEI Guido Vitale, “in una dimensione di viva e drammatica attualità, quella del dibattito storico e culturale che sta alla base della conquista di una società plurale, aperta e democratica”. Proprio la professoressa Mortara annunciava in quella circostanza, per poi tornare sull’argomento in una successiva intervista (Daniela Gross, agosto 2014) che riproponiamo oggi ai nostri lettori, i suoi contatti con Tony Kushner, noto sceneggiatore di Spielberg, e con David Kertzer, esperto di storia politica della Chiesa autore tra gli altri di “Prigioniero del papa re” (ed. Rizzoli), recentemente premiato con il Pulitzer per l’indagine condotta sul carteggio tra Pio XI e Benito Mussolini.
“Il rapimento di Edgardo – spiega la professoressa Mortara – prelude all’alleanza segreta fra Napoleone III e Cavour e al crollo dello Stato pontificio e rappresenta un pre-affare Dreyfus. Simboleggia i rischi di quel potere anacronistico, assoluto e autoritario che si vuole combattere ed è dunque vissuto come un crimine”. In questo senso, nella sua interpretazione, il caso ha contributo a favorire l’unità d’Italia, “mostrando in modo esemplare la discriminazione in atto nello Stato pontificio”. Per tenere vivo questo monito, sempre Mortara aveva lanciato pochi mesi prima un appello per far sì che potesse essere ospitato in una struttura italiana il quadro “Il rapimento del bambino Edgardo Mortara” (1862) di Moritz Oppenheim, primo pittore ebreo di successo dell’età moderna. Una tela preziosa, rinvenuta di recente, andata infine a un collezionista privato dopo la battitura di un’asta da Sotheby’s.
La prima irresistibile tentazione, parlando con Elèna Mortara Di Veroli, è andare sul personale. Cosa significa essere la pronipote di Edgardo Mortara, bimbo ebreo convertito di nascosto e poi rapito dalla Chiesa, protagonista di una cause celebre che ancor oggi continua a far sentire la propria eco? Fino a che punto la dimensione e la sensibilità familiare influiscono sul suo lavoro di critica letteraria, che in questi ultimi anni si è concentrato, tra le altre sue ricerche, proprio sugli effetti che il caso ha avuto nel contesto storico-culturale dell’epoca? E come ci si sente a venire di continuo chiamati in causa nel dibattito pubblico in qualità di studiosa, certo, ma anche in nome del vincolo di parentela? Bastano però poche battute a inquadrare la questione nella sua corretta dimensione rendendola perfino più appassionante. Sì, dice con un sorriso la professoressa Mortara, la familiarità gioca un suo inevitabile ruolo. “La mia bisnonna, la nonna di mio padre, era sorella di Edgardo. Non si tratta dunque di una discendenza lontana nel tempo. Mio padre ha conosciuto Edgardo e l’ha incontrato più volte: per noi la sua storia, così drammatica, è stata sempre molto presente e vicina. Un elemento che credo mi abbia dato un certo vantaggio rispetto ad altri studiosi, nel senso che per conoscere determinati eventi o comprendere alcuni aspetti del caso non ho avuto bisogno di consultare particolari testi né di attendere delle pubblicazioni”.
Ma oltre a essere una discendente di Edgardo, Elèna Mortara è una studiosa di vaglia. Il legame e la consuetudine familiari si sono dunque nutriti di competenze e strumenti scientifici di tutto rispetto, in un mix d’eccezione che ha sorretto e guidato le ricerche dedicate dalla professoressa allo scenario culturale del caso Mortara, ora divenute un libro, in uscita all’inizio del prossimo anno per la prestigiosa casa editrice statunitense Dartmouth College Press. Mentre, dopo un secolo e mezzo, il caso del bimbo ebreo convertito a forza torna di nuovo sotto i riflettori della cronaca – prima con il ritrovamento a sorpresa del quadro di Moritz Oppenheim che ne ritrae il rapimento, poi con l’annuncio che Steven Spielberg gli dedicherà un film, per cui lo sceneggiatore Tony Kushner ha incontrato la stessa professoressa – sembrano così schiudersi nuovi imprevedibili scenari su un caso che, sostiene Elèna Mortara, può a pieno titolo venire considerato l’Affaire Dreyfus d’Italia.
Il caso di Edgardo sembra ormai essere stato raccontato fin nei dettagli più minuti, su cosa si è concentrata la sua ricerca?
Già allora il rapimento fu considerato qualcosa d’inconcepibile e suscitò uno scandalo enorme. Come studiosa del mondo americano e storica della letteratura in una prospettiva transnazionale ho voluto indagare le ripercussioni che questa vicenda così drammatica nelle sue conseguenze storiche ebbe, in quel momento chiave della storia europea e americana, sul mondo letterario e il modo in cui a sua volta la letteratura influì sul versante storico. Non voglio anticipare i contenuti del libro, ma devo dire che l’intreccio che ne è emerso tra storia, politica, cultura e giornali è di notevole interesse e mi ha portato a delle bellissime scoperte.
Il rapimento fece allora grande impressione anche grazie all’ampio riscontro che ottenne sui mezzi di comunicazione. In che modo i media influenzarono l’opinione pubblica?
I giornali, come la letteratura o l’arte contribuirono a far conoscere il caso e a creare un dibattito e uno scandalo internazionale. Edgardo viene rapito nel giugno del 1858 ed è un periodo in cui le vicende dell’Italia, che si avvia all’unità nazionale, sono al centro dell’attenzione politica internazionale. I corrispondenti della stampa estera nel nostro paese sono numerosi e i resoconti che inviano ai loro giornali fittissimi. Ciò che colpisce è vedere la rapidità con cui la notizia si sparge dall’Italia agli altri paesi, e a consentire questa velocità di diffusione sono i nuovi mezzi di comunicazione, in particolare il telegrafo.
La storia di Edgardo riesce così a varcare l’oceano e a sbarcare in America. Sul New York Times tra il 1858 e il 1860 compaiono una ventina di articoli sull’argomento. Cosa ne pensano gli americani?
Il caso suscita grande scandalo e questo spiega il coinvolgimento anche della stampa non ebraica. È una particolare empatia spiegabile in parte, tra i vari motivi, con il fatto che all’epoca il mondo statunitense protestante vive con allarme la crescente immigrazione cattolica. Una certa forma di pregiudizio anticattolico, ampiamento documentato dalla letteratura popolare dell’epoca, viene dunque in qualche modo avvalorato dal rapimento a opera del papa, presentato come esemplare dei comportamenti tipici del mondo della Chiesa. La conversione forzata e il rapimento capitati al piccolo Edgardo, lasciano intendere alcuni opinionisti dell’epoca, potrebbe accadere anche ai non ebrei. Fondamentalmente, però, la reazione americana si lega al rifiuto di un caso di illiberalità da parte di un potere percepito come autoritario.
In Europa il rapimento mobilita Francia, Gran Bretagna, Olanda, Italia. Si muovono i Rothschild inglesi e francesi, sir Moses Montefiore e leader quali Napoleone III e Cavour. Perché tanto interesse?
Siamo nel pieno dell’età liberale, mentre si prepara la seconda guerra d’indipendenza italiana. Il rapimento di Edgardo prelude all’alleanza segreta fra Napoleone III e Cavour e al crollo dello Stato pontificio e rappresenta un pre-affare Dreyfus. Simboleggia i rischi di quel potere anacronistico, assoluto e autoritario che si vuole combattere ed è dunque vissuto come un crimine. In questo senso il caso ha contributo a favorire l’unità d’Italia, mostrando in modo esemplare la discriminazione in atto nello Stato pontificio. È un aspetto molto interessante, finora non del tutto recepito dalla storiografia italiana e di cui non si parla abbastanza, perché si tratta di una ferita storica non ancora elaborata.
A dire il vero non si parla molto neppure del Risorgimento italiano.
Vero. È una fase che gli eventi successivi hanno in certo modo oscurato e che spesso viene sentita come elemento di trionfalismo. Ma se riusciamo a renderci conto del significato più autentico di una vicenda come quella di Edgardo, in cui l’opinione pubblica si mobilita in difesa dei valori risorgimentali del liberalismo e dei diritti dei cittadini e delle minoranze, possiamo comprendere meglio gli alti ideali che sottendono all’unificazione nazionale.
Come reagisce allora il mondo ebraico?
Il caso Mortara mostra come anche l’età moderna sia gravida di rischi per il mondo ebraico. Influisce quindi in modo profondo sui movimenti d’opinione e favorisce in alcuni paesi il coordinamento e collegamento tra le diverse realtà. È allora che nasce ad esempio in Francia l’Alliance Israélite Universelle, con l’obiettivo di difendere i diritti degli ebrei nel mondo, mentre negli Stati Uniti proprio in quel periodo si registrano i primi incontri unitari delle organizzazioni ebraiche
E gli ebrei italiani?
Mentre la famiglia riesce a fare del rapimento di Edgardo un caso internazionale, mobilitando personalità di notevole livello, le comunità ebraiche italiane mostrano allora una debole e insufficiente capacità di reazione. I documenti rivelano che i dirigenti comunitari, soprattutto quelli della comunità ebraica romana, sono terrorizzati dalla prospettiva di uno scontro con la Chiesa. Bisogna però calarsi nella realtà del tempo: la comunità di Roma da secoli vive chiusa in un ghetto, sotto il peso di un potere dispotico, sottoposta a continue angherie, troppo oppressa per potersi permettere una decisa presa di posizione contro lo Stato pontificio. Non dimentichiamo che nella Capitale il ghetto sarà abolito solo dopo l’arrivo dell’Italia nel 1870.
Per certi versi il caso Mortara sembra suscitare ancora oggi alcuni imbarazzi.
Qui entra in gioco la questione del non ritorno all’ebraismo da parte di Edgardo. Una certa parte del mondo cattolico, quella più tradizionalista, ha voluto leggere nella sua scelta un disegno provvidenziale e dunque la giustificazione del rapimento. Vittorio Messori ha scritto che “Dio scrisse dritto su righe storte” perché da quel dramma derivò la conversione di Edgardo. Ma non è possibile comprendere appieno gli sviluppi del caso (e di questo sono ben consapevoli le molte voci liberali all’interno dello stesso odierno mondo cattolico) se non si tiene conto degli aspetti psicologici: stiamo parlando di un bambino sottratto con la forza alla sua famiglia.
Un aspetto di cui ogni tanto pare ci si scordi e che invece ben risalta nel quadro che Moritz Oppenheim dedica al rapimento, in cui la figurina chiara di Edgardo appare così minuscola e innocente sullo sfondo scuro degli adulti. Allora Edgardo aveva sei anni appena. Rivide i genitori per qualche incontro nella Casa dei catecumeni alla presenza di estranei pochi mesi dopo e in una di quelle occasioni riuscì a dire alla mamma che la sera recitava ancora lo Shemà. Poi più nulla, per quasi vent’anni. Rapito nel 1858, rivedrà la madre solo nel 1878 dopo la morte di Pio IX, che per lui era divenuto una figura paterna. Nulla di strano che dopo un indottrinamento e una separazione così lunghi, sia cambiato e a prezzo di laceranti conflitti interiori, come testimoniano i suoi diari.
Daniela Gross, Pagine Ebraiche agosto 2014
Strano ma vero, questo è l’anno di Edgardo Mortara. Un secolo e mezzo più tardi una straordinaria serie di coincidenze rilancia sulla ribalta internazionale la vicenda del bimbo ebreo rapito dalla Chiesa. L’annuncio del libro della professoressa Mortara, che promette nuove importanti rivelazioni. Poco prima, la notizia che Steven Spielberg dedicherà al caso di Edgardo il suo prossimo film, una coproduzione DreamWorks-Weinstein basato sulla sceneggiatura di Tony Kushner, già autore di Lincoln e Munich che a questo scopo ha incontrato la stessa professoressa Mortara. E a fare da battistrada, il ritrovamento del quadro intitolato “Il rapimento di Edgardo Mortara”, firmato da Moritz Oppenheim (Hanau 1800, Francoforte 1882), andato all’asta da Sotheby’s a New York a metà dicembre dello scorso anno. Scomparsa per un oltre unsecolo, l’opera, di cui finora si conoscevano solo i lavori preparatori, ritrae il momento in cui il bimbo viene sottratto a forza dalla sua casa ed è l’unica raffigurazione del fatto esistente. E con la sua drammatica rappresentazione sarà senz’altro un’importante fonte d’ispirazione per il film. “Sono tutte notizie che mi toccano profondamente e che confermano l’interesse internazionale che ancora circonda questo caso, nonostante tutto non ancora sufficientemente noto in Italia”, commenta Elèna Mortara. “Gli Stati Uniti, dove il quadro è stato venduto a un collezionista privato e da cui è partita l’iniziativa del film (ispirato alla ricostruzione dei fatti compiuta nel suo libro da David Kertzer), si confermano come fondamentale nucleo propulsore di proposte culturali innovative, basate anche sulla rilettura di vicende del passato”. Del resto già nel 2010, ricorda, un teatro di New York aveva messo in scena un’opera musicale intitolata “Il caso Mortara”, scritta e musicata dal compositore italiano Francesco Cilluffo. “Mi fa piacere ricordarlo: sono andata alla prima dell’opera e l’ho trovato un ottimo lavoro, spiace solo che non sia potuto ancora giungere in Italia. Mi auguro che questo possa avvenire nel prossimo futuro e che magari tra un anno o due il nostro paese possa conoscere insieme al film di Spielberg-Kushner anche il quadro di Oppenheim e l’opera di Cilluffo”. “Le arti e la letteratura, insieme alla stampa, si confermano come grandi strumenti di conoscenza e di dibattito, come già avvenuto all’epoca del caso Mortara a metà dell’800 – conclude – Ed è per questo che il mio studio, che parte dall’esplorazione di contesti artistico- letterari internazionali legati al caso, potrà gettare nuova luce su queste vicende, facendone comprendere aspetti assai importanti finora poco noti”.
Pagine Ebraiche, agosto 2014
(I disegni sono di Giorgio Albertini)
(4 giugno 2015)