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Per una volta faccio l’anglista (ebreo) sul serio. Sul fatto che la storia vada ricordata nessuno nutre dubbi. Sul fatto che la storia possa diventare fiction nessuno può mettere il veto, anche se spesso la fiction fa molto male alla storia, quando la eufemizza, la distorce, la falsifica, o la strumentalizza. Ma che la storia venga simbolizzata dalla fiction personalmente non riesco ad accettarlo. È come ricordare la Shoah attraverso La vita è bella o Schindler’s List. Siamo nell’imminenza di un cinquecentenario di un certo rilievo: l’istituzione del Ghetto di Venezia nel 1516, il primo ghetto della storia. La fibrillazione, come si può immaginare, è grande e qualche attività è già in preparazione. È una buona occasione per allestire palcoscenici e lanciare nuovi protagonisti. Tutto va bene e tutto è accettabile: una certa era berlusconiana, come si sa e come si vede, anche se sotto mentite spoglie, non è ancora finita e nulla fa presagire, all’orizzonte, che tempi e modi abbiano intenzione di cambiare. L’abito etico è stato assunto indifferentemente da tutte le parti politiche, felici e conniventi. La propaganda è l’anima del commercio e il commercio è l’anima di tutte le cose. Ma che, per motivi propagandistici e commerciali, Shylock diventi il simbolo dell’esperienza storica del ghetto è cosa che lascia alquanto perplessi – e anche questo è un eufemismo. Eppure attività diverse si stanno proponendo proprio nel nome di Shylock. Innegabile che sia lui la figura che più ha segnato nella letteratura la visione aborrita dell’ebreo del Rinascimento. Strozzino impietoso, padre spietato, spirito viscido e vendicativo, ispirò giustamente al nazismo una cinquantina di rappresentazioni, si può immaginare di che sorta. Ora, prendere lui a simbolo di attività commemorative mi sembra una ingenua bestemmia. Che richiami l’attenzione del pubblico non vi è dubbio, ma mi chiedo se l’esperienza (non certo da ‘celebrare’) del Ghetto non avrebbe potuto assumere a suo segno e titolo altre figure della sua storia e della sua cultura. Leon Modena, Itzchak o Yehudah Leon Abravanel, Elia Levita, Simone Luzzatto e, perché no?, Simon Simcha Calimani (malgrado il palese conflitto di interesse di chi scrive). Insomma le figure di rilievo ci sarebbero, ciascuna con il proprio significato forte da trasmettere per avviare una analisi seria, scientifica, dell’esperienza del Ghetto nei suoi vari aspetti. Visione seria, scientifica. Scegliere invece Shylock significa scegliere lo specchietto per le allodole, e un specchietto incrinato oltretutto da secoli di sfruttamento antisemita, istrionico e grottesco, della sua figura. Shylock lo si può e lo si deve studiare non con chiacchiere scenografiche da mattatore, ma con l’approccio dello studioso pedante, per comprenderne le premesse, la genesi, la storia e, soprattutto, i significati sottesi, ambigui e contraddittori, della sua testualità. Metterne il nome in vetrina è come mettere in vetrina il nome di ‘Amalek, o peggio (e non lo nomino), solo per attrarre tanto pubblico – per lo più impreparato all’impresa. Absit iniuria verbis. Fermiamoci, e riflettiamo un po’ prima che sia ancora più tardi.

Dario Calimani, anglista

(16 giugno 2015)