Ticketless – Voto di condotta
Si parla molto di scuola, con toni enfatici. Forse non guasterebbe un po’ di ironia.
Vi sono cose, che sono passate indenni attraverso cento e cento riforme ministeriali. Si pensi al rito pre-pagano, con cui fra pochi giorni, a esami di maturità conclusi, il presidente di ogni commissione apporrà sul pacco dei verbali un timbro in rossa ceralacca, con panico generale se sprovvisti di accendino alla vigilia di andare tutti in vacanza. Nel linguaggio della burocrazia scolastica si è fermi al linguaggio spagnolesco delle grida manzoniane. Lasciamo da parte i debiti e i crediti, prendiamo come esempio la parola ‘condotta’, perché fino a qualche tempo questa parola era in uso anche nel linguaggio comunitario. Che cosa fosse una ‘regolare condotta religiosa’ equivale a saper dare una precisa definizione, in prosa asciutta anglosassone, di che cosa sia ‘il comune senso del pudore’ o il ‘concorso esterno’ a reati di mafia.
Nella scuola, come ovunque nel nostro paese, è il dominio spagnolesco che fa da padrone.
Negli scrutini, arrivati alla definizione del voto di condotta, si arriva a scene di comica finale, che il primo Domenico Starnone ha immortalato in pagine memorabili. Non è tanto la motivazione che distingue il 6 dal 10, ma le mille argomentazioni sofistiche escogitate per separare l’8 dal 9, capaci di fare accapigliare, fermi al tavolo per un’ora, una dozzina di uomini e donne di mezza età normalmente dotati di senso dell’umorismo. Ha un senso dare il voto di condotta nella società odierna?
Quando guarirà la nostra lingua? Dalla scuola ai treni – in questa rubrica è inevitabile. Nelle stazioni da quando esistono i treni ad alta velocità, una voce gentile all’altoparlante ti avverte che prima di salire su una Freccia devi far scendere chi è arrivato. Non posso riprodurre qui la frase che è stata composta dai burocrati di Trenitalia, perché così facendo mi brucerei lo spazio che ho a disposizione.
Preferisco chiudere con la tagliente ironia di un giurista, Arturo C. Jemolo, che aveva osservato lo stesso male nella prosa dei costituenti: “All’art. 32 non si poteva arrestare a dire che la Repubblica tutela la salute, senza stare a spiegare ‘come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della comunità’, che potrebbe anche dare luogo a qualche battuta umoristica (quando sono costipato posso dire che è violato un mio diritto)?”.
Alberto Cavaglion
(17 giugno 2015)