Time out – Aperture
Tra i temi delle campagne elettorali nelle comunità ebraiche va da qualche anno di moda sostenere di volere una comunità più inclusiva.
Capire cosa voglia dire inclusiva è già più complicato saperlo; al massimo la spiegazione che si ottiene è quella di una comunità più aperta che accolga tutti. Principi di tutto rispetto se non fosse che, senza un’adeguata spiegazione, finiscano per non avere significato. Dovremmo capire quali siano i limiti dell’inclusività, se ci siano dei limiti e fino a che punto siamo disposti a spingerci per convincere qualcuno ad essere parte della comunità. Esistono forse dei limiti all’apertura? Siamo certi che essere accoglienti a prescindere sia la risposta corretta?
Questa settimana leggeremo la parasha di Corach, che, insieme a Datan e Aviram, dà inizio alla ribellione nei confronti di Mosé. La contestazione che Corach pone riguarda il ruolo speciale di Mosè e Aron.
La reazione da parte di D-o a questa insubordinazione è netta: Corach e i suoi seguaci vengono inghiottiti dalla terra. Corach sostiene che tutto il popolo ebraico è santo e pertanto i due fratelli non dovevano essere al di sopra degli altri. Mosè la pensava alla stessa maniera, semplicemente non riteneva che fossero lui e Aron a dover scendere al livello del popolo, ma che fosse suo compito far elevare il popolo al suo livello più alto. La contestazione di Corach viene presa dai maestri come esempio di discussione negativa e la conseguenza è drammatica nonostante Mosè provi a ricomporre la frattura. Premettendo che nessuno di noi oggi sia Mosé, siamo sicuri che di fronte ai Corach, Datan e Aviram di oggi la risposta migliore sia l’apertura assoluta? Quello che sembra insegnarci la Torah è che non dobbiamo smettere di sforzarci per mantenere la pace al nostro interno, ma che purtroppo, se lo scopo non è quello di elevare, ma diminuire la santità del popolo ebraico, a malincuore, è meglio dividersi che rimanere uniti.
Daniel Funaro
(18 giugno 2015)