La collina
Chi ha letto la “Collina” di Assaf Gavron (ed. Giuntina) e si aspettava la tipica rappresentazione dei “coloni” (il termine con il quale vengono denominati spesso dai giornali) come violenti e imbevuti di fanatismo religioso ne rimarrà senza dubbio deluso, ugualmente non rimarrà fin troppo soddisfatto chi si aspettava una visione dei “coloni” salvifica o troppo positiva.
Nel romanzo, come probabilmente negli stessi territori, si incontrano persone in fuga dalla metropoli o da un’esistenza tormentata, in cerca di una vita più a contatto con il creato ed una terra di Israele concepita ancora biblicamente, in cerca della realizzazione dei propri sogni, o semplicemente in cerca di una soluzione abitativa più economica. Certo, i violenti e i fanatici non mancano, come coloro che di nascosto o con il tacito consenso di parte della comunità, perpetrano il cosiddetto “Tag Mehir” contro i vicini palestinesi, distruggendo alberi d’olivo o forando pneumatici, o azioni contro la stessa Tzahal, ma si tratta comunque di una minoranza. I “coloni” di Gavron sono invece comuni esseri umani, con i loro pregi e i loro difetti, piuttosto che soggetti politici e ‘il maggior ostacolo’ alla pace con la controparte araba.
L’errore che sovente vien fatto, è quello di guardare gli insediamenti nella West Bank e i suoi residenti, come un fenomeno monolitico e omogeneo, quando bisognerebbe praticare una prima distinzione tra insediamenti ed avamposti, e poi tra i grandi insediamenti di poco oltre la Linea Verde, i ‘bloc settlements’, più secolari o semplicemente abitati da ultra-ortodossi, e insediamenti più remoti, abitati da residenti più ideologizzati, e spesso aderenti all’estrema destra nazionalista-religiosa.
Ciò si può confrontare anche con la geografia elettorale delle ultime elezioni, come ha scritto un recente articolo del Forward, dal titolo “Who did the Jewish settlers vote for” solo il 45% dei residenti della West Bank si identifica con la destra dati leumi. Così se a Yizhar e ad Hevron, il maggior numero di voti l’ha raggiunto il partito dell’ultradestra Yachad/Otzma – di ispirazione Kahanista, il quale non è riuscito a superare la soglia del 2% per entrare nella Knesset -, paradossalmente in molti insediamenti, i laburisti hanno preso dal 5 fino al 20% dei voti, e non manca chi ha votato Meretz e soprattutto il partito per la legalizzazione delle droghe leggere ‘Ale Yarok. In generale, più del Likud, la maggioranza delle preferenze è confluita nel partito di Naftali Bennett, che da sempre difende gli interessi dei “coloni”.
La “Collina” potrebbe poi essere letta alternativamente, come un’occasione mancata per la West Bank, nello sperimentare una convivenza con gli arabi che vivono sotto il proprio avamposto. Roni, uno dei protagonisti, cercherà sino alla fine, di stringere un’equa collaborazione economica con un palestinese, per la vendita in Israele dell’olio d’oliva. Purtroppo questo ideale verrà distrutto da una contingenza più drammatica costituita da barriere, attentati e diffidenze reciproche. Se però Roni è un personaggio di una fiction, non mancano nella realtà personalità che si sono spinte anche oltre l’olio d’oliva. Un esempio è dato dalla figura del Rav Menachem Froman (1945-2013) di Tekoa, tra i fondatori del movimento Gush Emunim, egli è stato un promotore del dialogo interreligioso e della coesistenza tra arabi ed ebrei, sino a sostenere la fondazione di uno stato palestinese, e l’intenzione di restare un domani, all’interno di esso, ugualmente come settlers. Un’opzione questa, che come si legge dalla Jewish Chronicle in un articolo dal titolo “If we have to live in a Palestinian state, so be it” non è del tutto esclusa, da altri residenti dei territori. Anche se per adesso, naturalmente, si tratta solo di mera utopia, partendo dal presupposto, che non è possibile prevedere se in un ipotetico stato palestinese ci sarà ancora posto, a secondo di chi lo amministrerà, per una popolazione ebraica.
Francesco Moises Bassano
(19 giugno 2015)