Periscopio – 50 sfumature
L’esigenza di non confondere ogni critica alla politica d’Israele col semplice antisionismo/antisemitismo e di distinguere tra le diverse motivazioni e i diversi obiettivi che sarebbero perseguiti dai vari censori del governo israeliano, con le loro complicate “cinquanta sfumature” di inimicizia (odio feroce e desiderio di annientamento; volontà di infliggere al cattivo una dura punizione, affinché impari finalmente le buone maniere; intenzione pedagogica e correttiva, volta a recuperare lo studente discolo; desiderio di dialogo e conseguente sforzo di indurre il reprobo a fare atto di contrizione, per poi volersi bene; desiderio di pace, e censura di chi la pace non vuole; amore incondizionato per Israele, tanto incondizionato da non potere tacere quando questo sbaglia – e succede spessissimo, anzi sempre -, perché “tra amici bisogna essere sinceri” ecc. ecc.) viene costantemente riaffermata sui mezzi di comunicazione, dove si leggono spesso inviti a non generalizzare, a distinguere, inquadrare, soppesare ecc. Il problema è, però, che, a volte, soppesare, inquadrare, distinguere ecc., oltre che noioso e defatigante – è da decenni che lo facciamo, e continueremo a farlo, nonostante il triste sospetto che sia tutta fatica sprecata -, ci pare terribilmente difficile, tanto le “cinquanta sfumature” paiono sottilissime varianti di un unico, monotono colore.
È questa la sensazione che si prova innanzi alla campagna per il cosiddetto BDS (Boicottaggio, Disinvestimenti, Sanzioni, inutile dire contro chi). Non mancano alcune voci, anche molto autorevoli – pensiamo, per esempio, alle sferzanti parole di un recente video di Alan Dershowitz -, che smascherano l’ipocrisia, la falsità e la doppiezza morale dei fautori di BDS. E’ motivo di amaro sconforto, però – anche se non sorprende – la generale indifferenza di fronte a questa velenosa propaganda, volta ad annebbiare le intelligenze e intossicare gli animi. Perché è assolutamente chiaro che tale campagna non è che uno dei molteplici strumenti adoperati per attaccare Israele – nella sua semplice esistenza fisica, al di là delle specifiche scelte politiche dei suoi governati -, contribuendo a isolarlo, ghettizzarlo, criminalizzarlo sempre di più, per poi poterlo più facilmente colpire. Il paragone – che è stato fatto dal premier Netanyahu – con le politiche di emarginazione ed umiliazione messe in atto in Europa contro gli ebrei, negli anni ’30, è assolutamente appropriato. D’altronde, che BDS non sia altro che una prima tappa, un “first step” sulla strada della totale eliminazione del nemico sionista non è un segreto, lo dicono da sempre, tra un attentato e l’altro, tutti i gruppi terroristi impegnati nelle loro azioni distruttive. Non si è mai sentita una sola voce, tra i nemici di Israele, che dica che, dopo che gli insediamenti, grazie a BDS, saranno stati smantellati, si farà finalmente la pace, e Israele non sarà più un nemico. Neanche una, mai.
Ma, si dice, alcuni credono in BDS in buona fede, per sollecitare i governanti israeliani a compiere qualche concreto gesto di buona volontà, in vista di una soluzione concordata e negoziale del conflitto. Mi pare difficile, francamente, credere che l’ingenuità umana possa arrivare fino a tali picchi di assurdità. Gli dèi, dicevano gli antichi, fanno impazzire che è destinato a perdere, come i troiani davanti al cavallo. Ma, in questo caso, le “anime belle” filo-BDS (ammesso che esistano: io non ne sono tanto sicuro) non rischiano in proprio, perché nella città assediata non ci sono loro.
Se i greci, in assenza del trucco di Ulisse, avessero proposto contro Troia un bel programma di BDS, presentandolo come un “piano di pace”, probabilmente anche allora molti avrebbero levato grida di giubilo, e chi avesse protestato sarebbe stato zittito, come Lacoonte, stritolato dai serpenti insieme ai suoi figli. Ma Omero, almeno, non dice che appeso al cavallo c’era un enorme cartello, con scritto, a caratteri cubitali: “allocco chi ci casca”.
Francesco Lucrezi, storico
(24 giugno 2015)