mitzvà…
È evidente che l’argomento iniziale della Parashà, ossia la mitzvà relativa alla cosiddetta ‘mucca rossa’, sia tale da destarci qualche interrogativo. A detta di Rashì, addirittura è la mitzvà della Torah che suscita anche i maggiori interrogativi da parte di chi non è ebreo, che ci chiede chiarimenti sulla sua essenza e le motivazioni. Per questo – afferma Rashì – la Torah definisce questa mitzvà una ‘chuqqà’, una di quelle norme disciplinari sulle quali non c’è nulla da discutere.
La realtà, però, non è così semplice. Il Talmùd ed il Midràsh fanno spesso riferimento proprio alla ricerca di una spiegazione. Nella maggior parte dei casi essa non viene trovata. Non la trova il re Shelomò, re sapiente per eccellenza; al non ebreo che lo interroga, Rabbàn Gamli’èl risponde dando una spiegazione che partecipa sia del magico che di una forma di rimedio olistico, a agli allievi – che capiscono che la spiegazione era creata ad arte per quella persona, ma che nulla aveva di reale – ribadisce che si tratta di qualcosa che sfugge alla logica, e va osservata solo perché Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ l’ha ordinato.
Solo in un punto il Midràsh afferma che la mitzvà della mucca rossa viene a rimediare alla colpa del vitello d’oro, utilizzando un’immagine simbolicamente evocativa: “Venga la madre (la ‘mucca’) e pulisca ciò che il figlio (il vitello) ha sporcato”.
Perché Shelomò non arriva a capirlo, se il motivo è questo? E se il motivo è così chiarito, perché definirla “chuqqà”, cioè qualcosa il cui motivo è incomprensibile?
Tra le varie interpretazioni sul vitello d’oro, c’è quella che sostiene che l’errore è nato dalla presunzione di sapere a che punto fermarsi: fino al tale punto non è idolatria, oltre sì, ci fermiamo prima. In altri termini, la colpa è stata quella di presumere che la logica umana fosse in grado di capire la logica interna della singola mitzvà, e quindi adattare la regola alla propria logica personale. Da qui sarebbe derivato il vitello d’oro. A rimedio, la Torah ci propone una mitzvà che ha a che fare con una mucca (‘la madre’), mitzwà che viene definita “chuqqà” anche se sappiamo che ha un nesso col vitello d’oro; se vogliamo “ripulire ciò che il vitello ha sporcato”, dobbiamo considerare questa mitzvà una “chuqqà” anche se ne conosciamo la logica!
Tutto questo Shelomò, con la sua grande sapienza, non poteva comprenderlo: essendo in grado di parlare “con gli uccelli, con gli alberi e le pietre”, ossia di essere in armonia totale con l’intima essenza del mondo, non poteva comprendere la debolezza di chi ha frainteso questa logica armonia al punto da sostituirsi alla logica del Creatore. Ma perché noi stessi non ci si dimentichi che questa è una “chuqqà” sui generis, come dice Rashì, sono coloro che adorano simulacri a ricordarci con le loro domande come essa ci colleghi al vitello d’oro ed alla pedagogia divina per uscirne.
Elia Richetti, rabbino
(25 giugno 2015)