puro…
I primi versetti della parashà settimanale, Chukkat, descrivono la complicata mitzvà della parà adumah, la vacca rossa, le cui ceneri erano alla base di una sorta di miscuglio che serviva a purificare coloro che erano in stato di impurità e quindi impossibilitati al sacrificio ed al risiedere nell’accampamento.
Strano passaggio è quello nel quale si afferma che colui che preparava il miscuglio così come colui che eseguiva la cerimonia di purificazione diventavano impuri e la persona impura, al contrario, veniva dai primi purificata.
Questo passaggio di stato e questo incontro con l’altro che si purifica grazie al lavoro ed alla abnegazione di un altro che temporaneamente diventa impuro, dovrebbe insegnare molto a noi che oggi ci ritroviamo meritatamente o meno ad essere manhighim, guide, del nostro popolo. Se vogliamo far crescere gli altri e crescere insieme agli altri dobbiamo sporcarci proprio come il cohen che utilizzava le ceneri della parà adumah: l’ideale ebraico è quello di crescita e di una santità, kedushà, condivisa. È molto poco ebraico basarsi sul concetto di pochi eletti e di una santità elitaria e non condivisa ed, a volte, l’assimilazione si annida nelle pretese di purità solitaria, mentre invece ci è stato comandato di essere responsabili gli uni degli altri, cioè pronti a sporcarci un po’ per far salire gli altri più in alto: con noi, grazie a noi ed insieme a noi.
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
(26 giugno 2015)