La casta
Un articolo di Umberto Eco, apparso un mese fa nella propria rubrica sull’Espresso, rifletteva su come i politici siano ormai incapaci di immedesimarsi nei problemi delle persone comuni. Scrive Eco: “La politica, minacciata dal terrorismo, ha dato vita ai membri di una casta condannata a non sapere nulla del paese che deve governare. Casta sì, ma nel senso dei paria indiani, tagliati fuori dal contatto con gli altri esseri umani”.
Oggi di fronte alla crisi del debito greco, o alla nostra crisi economica, sembra effettivamente che una gran parte dei politici abbia un’idea limitata di ciò che comporti fare i conti con la cosiddetta ‘austerity’, e nel concreto di cosa significhi l’incertezza del proprio futuro, la precarietà, la disoccupazione, i tagli alla propria pensione, o ai servizi pubblici. Viene piuttosto in mente quella frase attribuita erroneamente a Maria Antonietta “Se [il popolo] non ha più pane, che mangino brioche!”.
Lo Stato e la sua gestione, come qualunque altra istituzione, è divenuto più simile a quella di una grande azienda, con i cittadini come propri clienti, che si trasformano in azionisti, contabili e correntisti piuttosto che persone con i propri bisogni dove il fine primario dovrebbe essere non la produzione ma il benessere collettivo. Come ha scritto Claudio Vercelli la settimana scorsa, “Uno degli aspetti della crisi, forse irreversibile, nei processi di integrazione europea sta infatti nell’assenza di un ruolo peculiare, ovvero pienamente decisionale, della politica rispetto ai processi economici o, per meglio dire, a quelli di natura finanziaria.”
Ecco allora che anche l’Europa viene percepita automaticamente come un’Idra che si nutre di vite umane, a cui pochi sarebbero disposti a “sacrificarsi”, così da trascurarne i reali benefici, e l’idea di comunità e di solidarietà che dovrebbero essere alle sue fondamenta. Il malessere e un’indeterminata paura prendono il sopravvento su tutto il resto, si diffondono a macchia d’olio populismo e xenofobia, sui social networks, fallaci agorà del nostro tempo, l’individuo abbandonato a se stesso si improvvisa d’un tratto economista adottando sovente teorie ed interpretazioni fantasiose, se non nocive, bersagliando di improperi e accusando di servilismo le pagine delle testate giornalistiche che cercano il più delle volte soltanto di favorire il dibattito, e di offrire molteplici prospettive. In tale caos, la comunicazione moderna del politico verso l’uomo comune – la quale prende forse origine dalle fireside chats di F.D. Roosevelt – grazie ai numerosi talk show e all’interazione digitale, ha creato non tanto un punto d’incontro ed una maggior trasparenza, ma quanto un bombardamento mediatico affine alla promozione pubblicitaria per la vendita di un prodotto, senza certo colmare quella distanza di fondo. Distanza, non riscontrabile neppure nel Tanakh nel rapporto tra D-o e l’uomo, dove anzi prevale costantemente quel dialogo e quel confronto che oggi scarseggia in ogni luogo.
Francesco Moises Bassano
(10 luglio 2015)
(10 luglio 2015)