vendetta…

La guerra di vendetta contro Midyàn, colpevole di aver causato la morte di ventiquattromila Ebrei che hanno ceduto alle lusinghe dei loro culti orgiastici, è definita da Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ “la vendetta per Israele”, mentre Moshè, parlandone al popolo, la definisce “la vendetta per D.”.
Perché questa differenza?
Un’altra domanda. Rashì rileva che Moshè, benché sapesse che dopo la realizzazione di quest’impresa sarebbe giunto il momento della sua morte, “ha agito con gioia e non ha rimandato”. Da dove Rashì ricava questo insegnamento?
Il legame fra la guerra contro Midyàn e la morte di Moshè è affermato dalla Torah stessa, quando Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ ordina a Moshè “Vendica i figli d’Israele dai Midianiti, poi ti radunerai ai tuoi antenati”. Ma Rashì afferma che ciò non ha rallentato la puntuale e sollecita esecuzione dell’ordine da parte di Moshè, e ciò è ancora da dimostrare.
Che la colpa dei Midianiti fosse nei confronti di Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ è evidente: avevano fatto in modo che alcuni Ebrei si macchiassero di idolatria e prostituzione in un colpo solo. Che avessero mancato nei confronti d’Israele è altrettanto evidente: avevano causato la fine prematura di ventiquattromila persone. Perciò D. aveva detto a Moshè di essere pronto a condonare la mancanza nei Suoi confronti, ma non poteva, diremmo quasi che non aveva il diritto di condonare la morte di persone che altrimenti non sarebbero state punite, e quindi Moshè doveva vendicare i figli d’Israele.
D’altro canto Moshè, sentendo che dopo questa guerra sarebbe morto, temeva che gli Ebrei, sapendolo, fossero pronti a condonare ai Midianiti la colpa commessa nei loro confronti per non perdere la loro guida, e quindi insistette nel sottolineare che si trattava di vendicare Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ per la colpa commessa nei Suoi confronti.
Da qui possiamo arguire che Moshè abbia eseguito l’ordine divino “con gioia”, come dice Rashì: la gioia di compiere una mitzvà, indipendentemente dalle sue conseguenze. In questi giorni tra il 17 di Tamùz ed il 9 di Av dobbiamo domandarci: siamo pronti ad eseguire le mitzvòth con quella gioia?

Elia Richetti, rabbino

(16 luglio 2015)