… città
La mia città, si dice, è stata fondata da un profugo troiano (per la verità ora lì è Turchia), tale Antènore.
La mia città ha un santo venerato, che era un naufrago portoghese, sant’Antonio, ossia Fernando Martins de Bulhões.
La mia città ha un’università rinomata, fondata da studenti ribelli bolognesi, ai quali si aggiungono altri organizzati in diverse Nationes, in Transalpini e Cisalpini, e molti, molti ebrei.
La mia città ha una cappella splendidamente affrescata, da un pittore toscano, tale Giotto.
La mia città ha altri grandi tesori d’arte, per lo più realizzati da artisti ‘foresti’ come i fiorentini Giusto de Menabuoi e Donatello, ma anche del contado come Guariento, Mantegna e Jacopo. Mai proprio nativi.
La mia città ha un caffè famoso in centro, il Pedrocchi, commissionato dal bergamasco Antonio a quel Giuseppe Jappelli di origini veneziane e bolognesi.
La mia città, che è in mezzo alla campagna, ha un simbolo stranoto al mondo, la ‘gallina padovana’, che però viene dalla Polonia.
La mia città ha una squadra di calcio con una gloriosa storia, fondata nel 1910 da un ebreo, il barone Giorgio Treves de’ Bonfili.
La mia città è stata liberata nella primavera del ’45 dai partigiani (anche padovani) e dalle truppe alleate, composte da uomini di diverse nazionalità: americana, inglese, neozelandese, indiana, sudafricana, polacca, italiana, ebraica.
La mia città ha conosciuto l’emigrazione, in tempi di povertà e miseria.
La mia città è oggi meta di immigrazione, una tradizione lunga millenni che sapremo declinare anche nel nostro presente.
“C’è nei miei più lontani ricordi una città vasta e profonda, irta di muraglie e di torri massicce, bruna bruna sotto un candido cielo d’estate, carica di silenzio, di paure, e d’una sua dolcezza triste e, non so come, materna. (…) Cammino, abbandonata la mano nella mano della Zia Neni, sotto porticati interminabili, lungo cinte d’invisibili monasteri, per viali listati da fossi pallidi, attoniti. (…) Certo, questa città ha un nome: un nome che abbiamo sempre saputo, senza che nessuno ce l’insegni. Ma dir Padova non è come dire tutto il mondo?”
(Diego Valeri, Padova Città Materna, 1944).
Gadi Luzzatto Voghera
(17 luglio 2015)