La mia Collina
Sto provando a leggere La collina (ed. Giuntina) di Assaf Gavron, dico provando perché diversi fattori complottano contro di noi (Gavron e me): il caldo torrido ovviamente, ma soprattutto la fantasia degli imprevisti dei treni toscani, volti a rendere la vita del pendolare certamente meno noiosa, ma poco atta ad una lettura tranquilla e attenta come il romanzo meriterebbe, ovvero seduta in poltrona a meno dieci gradi per via dell’aria condizionata. Tocca invece trascinarsi davanti al monitor della stazione, eufemisticamente dedicato alle partenze (ci saranno? Con quante ore di ritardo questa volta? Si tratterà di un incidente elettrico, uno ‘svio’ che elegantemente cela la cruda realtà del deragliamento, o come la scorsa settimana avranno banalmente dimenticato di preparare il treno al capolinea, e lo annunciano pure, con un tono che sa di beffardo?).
E mentre alle 19.20 mi dibatto tra il dilemma di salire sul treno delle 18.10 o su quello delle 18.38, entrambi ostinati e fermi, carichi di varia umanità sciolta al caldo, comprese signore urlanti notizie tendenziose apprese da chissà chi e chissà come, e il solito complottista di turno che prova a convincerci che si tratti di congiura (un complottista almeno per ogni carrozza di entrambi i treni, come da mia veloce indagine), penso.
Penso che tu, Gavron, abbia avuto un bel coraggio nel provare a dare voce anche a chi non approvi, i cosiddetti ‘coloni’ degli insediamenti ebraici nella West Bank, i quali nonostante tu dichiari di essere di sinistra e contrario alla realtà delle colonie, nel tuo romanzo acquistano spessore e umanità, facendoceli apparire per molti aspetti simili ai pionieri sionisti di tanto tempo fa, coraggiosi idealisti fautori del Mizzug galuyot, la fusione degli esiliati tramite il ritorno alla coltivazione della terra in zone aspre e selvagge, che in apparenza di coltivabile non hanno proprio nulla.
Ma il coraggio più grande, Assaf, e passo ad un tono più diretto e personale perché voglio dirti una cosa davvero importante, lo hai avuto nel farci conoscere Gabi, un hozer be teshuvah, laico diventato religioso dalla personalità fragile, il quale solo a pagina 401 scopriamo essere stato, dopo che vittima, carnefice. Ma a questo punto è tardi, e ormai gli voglio bene e mi interrogo sulla forza della disperazione e del vuoto.
Intanto si sono fatte le 19.25 e mi decido a salire sul treno delle 18.38, che potrebbe essere davvero in procinto di partire più dell’amico accanto delle 18.10, se ho sviluppato abbastanza il senso del viaggiatore grazie al quale colgo la presenza di un’affannata e altrettanto gocciolante capotreno, e se c’è lei forse il treno parte.
E salendo sul treno, penso ad un’altra immagine commovente: Assaf, forse ancora più di Gabi che ha ingoiato terra e coccinelle nella sua infanzia in kibbutz ed è ora padre, ma… Questa è mia, di quando ero a Gerusalemme e c’era l’Hitnatkut, e il clima anche senza essere complottisti era, se non proprio da guerra civile, quantomeno molto teso… una mia conoscente era stata presa a male parole su un autobus, solo perché la sciagurata aveva indosso una maglietta arancione. Ricordo una Kabalat Shabbat in un albergo vicino a Har HaTzofim, dove studiavo, e non so perché ma ad un certo punto ero sola seduta nella hall. Sola in mezzo ad un mucchio di gente, in realtà. Dovevo avere un’aria alquanto desolata, perché una bambina degli ‘arancioni’, gli arrabbiati evacuati (quasi) a forza da Gaza e dispersi tra centri di accoglienza e hotel vari per il Paese, mi si era avvicinata offrendomi una caramella e augurandomi Shabbat Shalom. Lei, che non aveva più una casa, e che faceva in teoria parte dei ‘cattivi’ ultra-religiosi antidemocratici (così mi dicevano gli amici israeliani giovani e progressisti in università), offriva una caramella a me… io una casa per quanto lontana ce l’avevo, e mi avrebbe accolto quando mi fossi stancata di tutto quel balagan israeliano. La capotreno fischia, la gente liquefatta e sfatta di stanchezza e di attesa esulta, e dal finestrino vedo come in una fata Morgana del deserto Gabi e la bambina fondersi insieme e salutarmi con la mano.
Sara Valentina Di Palma
(21 luglio 2015)