Ulisse, da Troia a Itaca
nella lingua di Sefarad

odisseo Tamburella con le dita per seguire il ritmo cadenzato e melodioso degli esametri dattilici, destreggiandosi tra epiteti formulari e invocazioni alle Muse. Moshe Ha’elyon non è invero un poeta semi cieco e dall’identità vaga, però anche a lui si possono attribuire gesta letterarie non da poco: 87 anni, sopravvissuto alla Shoah, ha portato a termine la prima traduzione al mondo di tutta l’Odissea direttamente dal greco antico in ladino, lo spagnolo degli ebrei sefarditi.
Gli ci sono voluti quasi quattro anni concludere la sua opera, pubblicata in due volumi con testo a fronte in ebraico, e Ha’elyon ha davvero lasciato intatta la metrica del poema omerico, trasferendo dattili e spondei nella versione ladina aiutandosi con il picchiettare delle dita, così come le numerose figure di suono. Ma anche a livello di lessico è stata una dura prova: “Il ladino è una lingua parlata – spiega – e improvvisamente ho dovuto trovare parole per mondi che non ne hanno, come quello dell’agricoltura, della navigazione o dei nomi di alberi”. Per risolvere il problema si è affidato al dizionario ebraico-ladino dello studioso Avner Peretz e anche alla traduzione in ladino della Bibbia. “Non ho inventato nessuna parola – garantisce – ho una documentazione per tutto”.
Il ladino è la lingua madre di Moshe, che ha dedicato gli ultimi anni alla missione di mantenerlo in vita, e tra le altre cose ha publicato anche una traduzione del “Piccolo principe”, il citatissimo libro per bambini di Antoine de Saint-Exupéry. A dargli l’idea di tradurre anche l’Odissea è stato proprio Peretz, dopo che Ha’elyon gli aveva confessato di non aver mai potuto finire il liceo a causa dell’inizio della guerra, ma di aver studiato il greco antico.
In realtà, aveva cominciato con l’Iliade, solo che era più lungo e un pochino più difficile, e quindi ha ripiegato sull’uomo dal multiforme ingegno. Però a dire il vero l’Odissea è quasi più affine alla sua incredibile storia, durante la quale ha più volte rischiato la vita, compiuto viaggi per terre e per mari ed è stato protagonista di gesta epiche, e che tra l’altro è l’oggetto di uno dei suoi scritti, naturalmente in ladino. Anche la sua Odissea personale inizia in Grecia, a Salonicco, dove Moshe è nato nel 1925. La sua gioventù è stata caratterizzata dall’alternarsi del ladino parlato in casa e il greco antico studiato a scuola, fino ai primi anni del liceo in cui si è trovato per la prima volta di fronte ai poemi omerici. Poi nel luglio del 1942 la persecuzione nazista ha portato lui e tutta la sua famiglia nel campo di sterminio di Auschwitz. Moshe è stato l’unico sopravvissuto e deve tutto proprio al tanto vituperato greco antico: ha infatti raccontato che si è potuto salvare dando lezioni di greco a un prigioniero cristiano che aveva dei privilegi speciali e lo pagava in cibo. Dopo due marce della morte è arrivato in Austria, dove è stato liberato dagli americani. Nel 1946 si è poi imbarcato sulla Josiah Wedgwood, una nave della cosiddetta Aliyah Bet che tra l’altro è stata anche intercettata, e così non senza avventure è approdato sui lidi israeliani. Ha combattuto nella guerra d’indipendenza, nel corso della quale è rimasto ferito gravemente in un incidente con la jeep che guidava. Dopo essersi nuovamente rialzato, Ha’elyon ha iniziato l’addestramento per ufficiali da cui è uscito con il grado di luogotenente colonnello e ha continuato al lavorare nelle Forze di difesa israeliane fino al 1990, quando è andato in pensione. Ma non si è fermato nemmeno allora, dedicando il suo tempo alla scrittura in ladino.
Prossima missione? Ora che la sua Odissea è stata pubblicata, ha già annunciato che cantare nella secolare lingua sefardita del pelide Achille l’ira funesta che infiniti addusse lutti agli achei nella secolare lingua sefardita sarà una passeggiata.

Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked

(21 luglio 2015)