Ticketless – Da tradurre

cavaglionQuesta settimana vorrei segnalare un libro (Michael A. Livingston, The Fascists and the Jews of Italy. Mussolini’s Race Laws 1938-1945, Cambridge University Press).
Al culmine di un’impressionante stagione storiografica, che ha mutato in modo radicale le nostre conoscenze sul razzismo mussoliniano, è curioso notare come gli ultimi a parlare siano gli storici della magistratura. Dopo una strana e prolungata soggezione verso gli studi, ad esempio, sul mondo accademico, tali studi si moltiplicano (Falconieri, 2005; De Napoli, 2006; De Cristofaro, 2008; Speciale, 2013). Livingston ha riservato attenzione ad alcuni ambivalenti casi locali (Ferrara e Torino nello specifico). Se è vero, spiega, che il sistema repressivo non è comparabile a quello tedesco, per l’assenza di fanatismo demoniaco, ciò non vuol dire che si debba tirare un respiro di sollievo.
Il dogmatismo atterrisce, ma l’ambiguità cinica del legislatore e dei funzionari chiamati ad applicare le norme non è tollerabile, specie se coabita con la pratica delle scappatoie, che altro non fecero se non incrementare lo stato di insicurezza delle vittime e dunque a rendere più spaventoso il crollo dell’8 settembre 1943. I tranelli dell’ambiguità sono ripugnanti non meno dei rigori germanici; d’altra parte – verrebbe da aggiungere – non è forse vero che l’incertezza del diritto è un male diffuso e persistente anche nell’Italia post-fascista (legge Severino docet)? Altra cosa notevole.
Livingston (pp. 34-36) reputa riduttivo insistere sul dato biologico: il legislatore considerava fonte di corruzione morale finanche il cognome del perseguitato e si premurava di espellere dal tessuto sociale pure gli individui “che [avessero] dato prove manifeste di attività nel campo ebraico”. Ciò equivale a dire che qualcuno dei molti giovani storici non ebrei che si occupano attualmente di storia degli ebrei, di fronte ad una simile affermazione di principio, oggi se la passerebbero male.
In un punto del libro (p. 72) s’avanza infine l’ipotesi che le restrizioni imposte – per l’importanza assunta da questi aspetti non biologici – assomiglino non tanto al modello hitleriano, quanto alle norme che in età medievale dalla Chiesa e dai governi europei erano concepite per combattere l’idea di giudaismo come fonte di contagio e di malattia. Un inatteso, e perciò più sconvolgente, ritorno dell’antica interdizione nella modernità. Ipotesi affascinante, che aleggiava nell’aria e forse meritava di essere approfondita di più.

Alberto Cavaglion

(22 luglio 2015)