La Chuppah
Finalmente giunge anche questo momento e il terzo dei nostri figli convola a nozze. Si festeggerà in Kibbutz con tutti i haverim ed altrettanti ospiti dal mondo. La sposa è di origine francese. La chuppah – la cerimonia nuziale – chiamata cosi dal baldacchino che si usa stendere sugli sposi in segno di benedizione affinché non manchi loro mai un tetto e affinché la Shinà, la presenza divina sia sempre sui loro capi, si celebrerà in una radura, davanti al Monte Hermon e ai paesaggi della loro infanzia, nella parte estrema del Kibbutz.
La data è il 15 di Av il giorno in cui, secondo la tradizione ebraica, la fanciulle si vestivano di bianco e danzando tra i filari di aranceti, nei campi e nei villaggi, si incontravano con coloro che sarebbero diventati i loro compagni per tutta la vita. Una festa dell’amore.
“Mamma, mi piacerebbe che ricamassi tu la nostra chuppah. Sarebbe bello. Potresti ricamare i nostri nomi, noi saremo i primi ad inaugurarla e sarà di buon auspicio per miei fratelli e per tramandarla ai nostri figli”. Mi emoziono moltissimo per questa richiesta e penso tra me, con orgoglio e tenerezza, che deve essere una prerogativa del dna ebraico: trasmettere, continuare la tradizione, pensare al futuro come se fosse già qui come è scritto e come recitiamo nelle preghiere: “Veshinnantam levanecha” – “E lo ripeterai ai tuoi figli”. Mi attivo immediatamente. In Marocco trovo una preziosa stoffa bianca che sembra un enorme Tallit e inizio ad immaginare fiori, foglie, melograni da riprodurre in colori diversi. Mali, una haverà del kibbuz mi chiede: “Sai ricamare? È un po’ strano immaginarti seduta tra pizzi e fili colorati, non stai un momento ferma!” sorrido. “Eccome, pensa che per le nozze d’argento dei miei genitori ho ricamato una tovaglia bellissima… Quando mia madre la vide mi disse che sicuramente mi ero rovinata gli occhi e non la usò mai per paura di danneggiarla!”
“E dov’è ora?” chiede Mali. “In una valigia da qualche parte, mamma me la rese quando iniziò a star male mi disse di prenderla, ne avrei fatto buon uso”. Mali mi guarda assorta: “Lo capisci vero che è chiaro che questa sarà la vostra chuppah! L’avevi ricamata per una festa di nozze. Questo era il suo destino. La tradizione. Devi solo aggiungere i nomi e la data. E ne aggiungerete tanti altri nel corso della vita!”. Quando torno a casa metto in vero soqquadro l’armadio….e la trovo, la tovaglia che ricamai nel 1979… a quei tempi nenche sognavo che avrei dato vita a quattro figli… È bianca con due cerchi di fiori e foglie ricamati nelle tonalità dell’azzurro. Aggiungo i nomi di Kalia e Kfir in oro e una frase del Cantico dei Cantici. La porto alla sartoria del kibbuz per cucirla sulla grande stoffa di Marrakesh. Hava e Mazal si mettono subito all’opera: “Non ha prezzo…”, mi dicono con emozione. E penso tra me “Finché ci saranno Kol Hatan ve Kol Kallà, kol sasson vekol simcha – Voci di sposi e voci di gioia, finché ci saranno anziani che piantano alberi di fichi, consapevoli del fatto che non ne assaggeranno mai i frutti, ma ci sarà chi dopo di loro godrà della loro opera, finché continueremo a mantenere le nostre tradizioni avremo la forza di affrontare qualunque avversità”.
Angelica Edna Calo Livne
(23 luglio 2015)