Propaganda e demenza digitale
Conoscere è la difesa migliore
Realtà di Israele, lo dice il nome, è un nuovo spazio per comprendere cosa Israele sia davvero. Difficile? Noioso? Troppo complicato per chi è ormai abituato a sorbirsi solo slogan? Forse. Eppure, qualcuno conosce forse un modo migliore per capire e difendere Israele?
Anni di compiacenza e di passività nei confronti del cretinismo digitale hanno finito per produrre un mostro. Qualcuno, certamente in buona fede, evoca in pubblico un cavallo di battaglia del profeta hitleriano della propaganda: “Una bugia ripetuta ossessivamente diventa verità”. Un altro, certamente in buona fede, gli fa da sponda: “Difenderemo Israele utilizzando le stesse armi della propaganda”. “Ma questo – avrebbe detto una celebre filosofa – è un problema, mica una soluzione”. Basta passare in rassegna qualche puntello metodologico piantato da Joseph Goebbels a reggere la sua delirante costruzione mentale per vedere che la sua preoccupazione immediata non erano le folli idee di discriminazione, odio, distruzione, sterminio. Quelle furono purtroppo una conseguenza. Il suo punto di forza era l’imposizione di un linguaggio, la manipolazione della pubblica opinione per renderla una massa informe, impaurita, irragionevole, gonfia d’odio e facilmente pilotabile a distanza. Prima ancora che una belva disumana, Goebbels era convinto di saperne più degli altri. Nella cabina di regia ci stanno in pochi, gli altri nel gregge a fare il tifo. Certo il delirio di onnipotenza prima o poi viene messo a nudo. Ma a che prezzo?
Non aiuta Israele e non serve a noi, questa degradazione. Non è mai stata e mai sarà giocare a chi grida più forte, la nostra forza. Al contrario, nel mondo dell’informazione i metodi non sono un giocattolo o un ornamento: condizionano il contenuto e l’identità di chi li utilizza.
Apriamo queste pagine credendo fortemente nell’urgenza di difendere Israele e rigettare l’antisemitismo. È necessario parlare di Israele di più e con maggiore coraggio. Ma vorremmo farlo rendendo giustizia alla realtà di Israele, raccontando questo universo prezioso e minacciato nella sua complessità e anche, perché no, nelle sue contraddizioni, nelle sue fragilità.
Dovremmo allora prendere le distanze da quel coro che in perfetta buona fede si lascia trascinare dalla demenza digitale dei social network, si abbandona alla propaganda, piuttosto che alla conoscenza e l’analisi? Sarebbe un grande errore. L’impegno su tutti i fronti, anche quello dell’editoria digitale e dei social network, resta fondamentale e tutte le energie devono essere valorizzate.
Resta però l’esigenza di capire la realtà di Israele. Altrimenti si proclama Israele, ma si finisce per parlare d’altro. Delle nostre paure, dei nostri problemi irrisolti, delle nostre incertezze identitarie, dei nostri interessi. E delle nostre ambizioni insoddisfatte. Una strada molto pericolosa, perché la migliore risposta ai piazzisti della propaganda, quella di Abraham Lincoln, parla ancora molto chiaro: “Si può ingannare poca gente per molto tempo o molta gente per poco tempo. Ma non si può prendere in giro molta gente per molto tempo”.
Pagine Ebraiche, luglio 2015
Il delirio della propaganda
“La propaganda deve essere adatta alla massa, la comunicazione deve essere adatta al meno intelligente degli individui nella massa cui viene diretta. Quanto maggiore è la massa da coinvolgere, tanto minore deve essere lo sforzo mentale da compiere. La capacità ricettiva della massa è circoscritta e la capacità di comprensione e di memoria scarsa”.
”È necessario sviluppare continuamente nuove informazioni e nuovi argomenti raggiungendo un tale ritmo che, anche se l’avversario rispondesse, il pubblico sia già nel frattempo interessato ad altre cose. Le eventuali risposte non devono mai avere la possibilità di rallentare il livello crescente delle accuse”.
“Gli argomenti espressi devono trovare radice nei sentimenti più primitivi. Bisogna limitarsi a un piccolo numero di idee e ripeterle instancabilmente, presentandole sempre sotto diverse prospettive, ma convergendo sempre sullo stesso concetto. Senza mai lasciare spazio al dubbio o all’incertezza”.
”È necessario identificare l’avversario in un nemico, nell’unico responsabile di tutti i mali e adottare un’unica idea, un solo simbolo. Meglio ancora raggruppare diversi avversari in un’unica categoria”.
”Bisogna portare la gente a credere che le opinioni ossessivamente espresse siano condivise da tutti, creando una illusoria impressione di unanimità”.
A chi appartengono queste farneticazioni?
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(23 luglio 2015)