Il discorso di Renzi alla Knesset Israele, l’amicizia italiana
Continua a far parlare di sé, il discorso pronunciato dal presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi alla Knesset, il parlamento israeliano. Un intervento tenuto per dimostrare la vicinanza di Roma a Gerusalemme, per ribadire la solida amicizia che lega i due paesi e che rimarrà tale anche dopo l’accordo siglato dalle potenze occidentali con l’Iran. La missione di Renzi in Israele, infatti, è stata interpretata come un tentativo di rassicurare il governo di Benjamin Netanyahu di fronte ai nuovi equilibri che sembra prefigurare l’intesa raggiunta a Vienna sul nucleare iraniano. Equilibri che propendono in direzione Teheran, con il Paese degli Ayatollah impegnato ad estendere la sua influenza sul Medio Oriente. Non vi lasceremo soli, il messaggio alla Knesset di Renzi, primo tra i capi di Stato e primi ministri a visitare Israele dopo la firma dell’accordo. Non vi lasceremo soli perché siete parte di noi così come lo è l’ebraismo, ha spiegato il presidente del Consiglio italiano al collega Benjamin Netanyahu, al suo governo e a tutto il parlamento israeliano. Tanti infatti i riferimenti anche al mondo ebraico italiano citati da Renzi durante il suo discorso, pubblicato qui di seguito integralmente.
Signor Presidente della Knesset,
Signor Primo Ministro,
Signor Capo dell’opposizione,
Signore e Signori membri della Knesset,
Ho provato a lungo vari saluti nella vostra lingua, poi ho pensato che il modo migliore per iniziare fosse darvi il saluto più bello del mondo: shalom, e grazie per questo invito.
Con profondo rispetto prendo la parola a nome del Governo italiano davanti a voi, in una città che evoca emozioni e brividi solo a nominarla: Gerusalemme. Il Salmo ci trasmette l’immagine delle tribù che salgono verso il Tempio cantando la gioia di avvicinarsi nella città santa e lodando il nome del Signore. È toccante immaginare quelle donne e quegli uomini che si facevano pellegrini e salivano in questa città. Ma la Bibbia sottolinea anche come a Gerusalemme fossero posti “i seggi del giudizio, i seggi della casa di Davide”. Dunque è anche un pellegrinaggio laico quello che si compie visitando la Vostra assemblea. Il pellegrinaggio laico delle donne e degli uomini di tutto il mondo che non si stancano di domandare pace per Gerusalemme. Perché domandare la pace per Gerusalemme significa costruire la pace per noi, per i propri fratelli, per i propri amici.
Chi fa politica, oggi, qui come in qualsiasi parte del mondo sa che non basta domandare la pace per Gerusalemme. Occorre costruire la pace. E nessuno di noi può fingere di non sapere: la pace dipende dall’impegno di tutti, ciascuno di noi, nessuno escluso.
La storia dei nostri popoli ci dimostra che è così: per costruire la pace occorre partire dall’impegno in prima persona. La mia patria, l’Italia, è stata ricondotta alla libertà esattamente settanta anni fa, contro il nazifascismo. Da ogni angolo del nostro Paese giovani e meno giovani misero a repentaglio la propria vita e in alcuni casi sacrificarono la propria esistenza per l’ideale della libertà. Rendo omaggio a costoro. E a quelle donne e quegli uomini straordinari partirono da altre terre e contribuirono all’impresa provenendo dalla vostra realtà.
Penso ad esempio a chi è vissuto portando in sé una duplice identità: costruttore del nuovo Stato di Israele e patriota devoto di un’Italia antifascista. La mente corre e raggiunge il nome di Enzo Sereni, collaboratore di Ben Gurion, che prima abbandonò una vita agiata a Roma per fondare il kibbutz Ghivat Brenner e poi – dopo aver salvato molte vite nella Germania nazista – si lanciò con un paracadute nell’Italia occupata, fu catturato dai nazisti e ucciso a Dachau. Il suo nome vive per sempre.
Penso a un altro grande italiano, figura centrale della comunità ebraica del mio Paese, il rabbino capo di Roma, Elio Toaff. Rav Toaff lottò contro lo squallore delle leggi razziali del 1938 che ancora fanno scendere una cappa di vergogna imperitura sulla nostra nazione, poi si impegnò in prima persona per la liberazione dal fascismo e quindi fu tra i protagonisti della ricostruzione. Uomo di grande dialogo fu lui il promotore della storica visita di Papa Giovanni Paolo II alla Grande Sinagoga di Roma. Proprio nel Tempio in cui lo abbiamo salutato per l’ultima volta qualche settimana fa: ci ha lasciato appena qualche giorno prima di compiere 100 anni, spesi interamente a servizio del Suo Paese. Del nostro futuro.
Ma voglio ricordare anche chi non era italiano, chi non conosceva forse neanche troppo bene il nostro Paese e tuttavia si è speso in prima persona. Provate, signori della Knesset, a immaginare un giovane ragazzo di settant’anni fa. Un giovane ragazzo ebreo che decide di arruolarsi come volontario nella Brigata Ebraica. Che decide di rischiare la vita – ciò che ha di più prezioso – per la libertà di persone sconosciute: mio nonno, di mio padre, la mia libertà, quella dei miei figli e dei figli dei miei figli. Immaginate se uno di quei ragazzi potesse essere qui, oggi. Quanto potrebbe essere orgoglioso il popolo di Israele, di lui. E quanto potremmo essergli grati. Non tutti i ragazzi della Brigata Ebraica ci hanno lasciato. E non è questione di immaginazione, signori della Knesset: qui davvero c’è uno di quei giovani che ha combattuto per la mia libertà. Signor Asher Dishon, ci inchiniamo davanti a lei, giovane membro della Brigata Ebraica che venne a combattere in Italia per liberarci. Signor Asher Dishon, grazie di cuore per quello che Lei ha fatto per la mia gente. Signor Asher Dishon, grazie per aver condiviso questo momento con noi qui alla Knesset
Todà Rabà, Signor Dishon
Todà Rabà, Enzo Sereni
Todà Rabà, Elio Toaff
Costruire la pace, tuttavia, non passa solo dalla difesa fisica della libertà. Ma anche dalla sfida culturale. Ho scelto di iniziare la visita ufficiale nel vostro Paese da un luogo simbolico molto importante, l’Università di Tel Aviv. Personalmente credo che sia un dovere – e anche per molti aspetti un piacere – visitare le università. Da Stanford fino alla Humboldt da Georgetown fino all’Università di Nairobi in Kenya, dove ho voluto la scorsa settimana ricordare i giovani universitari di Garissa.
Per me l’università, il centro di ricerca, una scuola, sono i luoghi in cui il capitale umano emerge con tutta la sua forza e la sua bellezza. Non sono solo semplicemente una variante del protocollo ufficiale, un diversivo nel programma istituzionale. Sono i luoghi dove si costruisce una relazione profonda. L’Università è il laboratorio dell’amicizia e della collaborazione strategica.
Sono rimasto colpito dall’energia dei vostri giovani, dei vostri professori. Ho ammirato le ricchezze di questa Startup Nation: la relazione tra università, venture capitalism e nuove aziende è uno degli aspetti meno conosciuti di Israele fuori da Israele. Quanta ricchezza intellettuale, quanta fame di futuro, quanta energia mentale!
Sono stato accolto dalla firma di accordi di cooperazione con alcune università italiane e ho assistito a un bel dibattito dal titolo “I Cube: Italy, Israel, Innovation. From knowledge to growth”. Anche per questo dico che chi pensa di boicottare Israele non si rende conto di boicottare se stesso. Possiamo avere opinioni legittimamente diverse su singoli eventi o specifici accadimenti, è accaduto e sicuramente continuerà ad accadere come è normale nella storia quotidiana di un’amicizia, ma sappia la Knesset che l’Italia sarà sempre in prima linea per la collaborazione, mai per il boicottaggio.
Sono qui per riaffermare il legame che ci unisce non solo nella memoria ma anche nella costruzione del futuro. È molto facile per Paesi orgogliosi come i nostri essere gelosi del nostro passato fatto di storie che hanno segnato l’umanità, da Re Salomone fino al Rinascimento. Per centinaia di anni nelle nostre terre si è forgiata una cultura capace di influenzare il progresso umano. Ma è molto più importante essere non solo orgogliosi del passato ma anche gelosi del futuro. Gli accordi universitari ci aiutano in questa direzione.
E del resto qualche settimana fa ero al Cern di Ginevra, dove Italia e Israele insieme sono protagonisti nell’esplorazione della materia costitutiva dell’universo, pieni di slancio ed emozione davanti all’infinitesimamente piccolo e potente.
Una comunità di donne e uomini che studiando l’origine scrivono con fiducia il nostro futuro, insieme Il terrorismo ci vuol far morire in modo orribile. Ma non riuscendovi, prova a farci vivere in modo orribile: rinchiusi nelle paure, senza possibilità di dialogo, rinunciando a noi stessi, a ciò che siamo.
L’università, la ricerca, la cultura non sono solo pezzi fondamentali della nostra identità, ma sono anche e soprattutto la frontiera di questa sfida: i luoghi che ci aiutano a rimanere noi stessi, aperti e pronti alla vita, nonostante le minacce e le difficoltà.
Non mi sfugge – ovviamente – l’aspetto di sicurezza che caratterizza non più solo questa regione, ma un’area molto più vasta. Il mondo di oggi non è più solo caratterizzato da una instabilità, circoscritta e limitata in una regione. Singoli attacchi preparati in modo quasi artigianale con movente estremismo religioso vengono realizzati da cittadini europei all’interno dei confini europei. E contemporaneamente attacchi in grande stile hanno colpito l’intero pianeta: dagli Stati Uniti all’Australia.
Le truppe italiane sono impegnate giorno dopo giorno in Libano, in Iraq, in Afghanistan, in Kosovo e lo saranno ovunque si renderà necessario partecipare insieme alla coalizione internazionale in operazioni finalizzate a fermare la barbarie. Perché di questo si tratta: una lotta contro la barbarie, uno scontro senza quartiere tra una minoranza di estremisti violenti e la stragrande maggioranza di quanti credono nei valori del dialogo e della civiltà.
Tra chi scommette sulla morte e chi investe sulla vita, tra chi oscura la propria intelligenza nelle tenebre e chi si lascia accompagnare dalla luce, noi sappiamo benissimo da che parte stare. Non smetteremo mai, un solo istante, di combattere dalla parte giusta. Insieme a voi, naturalmente. Insieme ai nostri storici alleati e amici Stati Uniti d’America, punto di riferimento indispensabile per intere generazioni negli sforzi di pace del mondo. Insieme alle Nazioni Unite, valorizzando il ruolo della Russia che noi vogliamo player globale e non isolato vicino di casa di un’Europa impaurita, insieme ai vostri vicini arabi, in particolar modo quelli moderati, che hanno ben chiara la necessità di preservare questa terra da nuove escalation. Mi riferisco a diversi Paesi ormai, cominciando dalla Giordania e dall’Egitto, autorevoli comunità in grado di avvicinarci alla stabilizzazione e alla pace.
Qualche giorno fa i terroristi che hanno attaccato il Consolato italiano al Cairo pensavano di poterci intimidire e dividere, ma hanno ottenuto l’effetto opposto: noi siamo ancora più a fianco del governo egiziano per affrontare insieme le sfide che ci attendono. E lo facciamo portando nel cuore le nostre ferite.
Solo un anno fa le vostre città erano sotto attacco. Solo un anno fa la sirena non suonava per esercitazione. La popolazione costretta a correre nei rifugi ha trovato protezione sotto l’ombrello delle nuove tecnologie di difesa. A Gaza distruzione e morte hanno lasciato un segno profondo. E subito prima tre ragazzi israeliani erano stati rapiti e barbaramente uccisi. Voglio ricordare i loro nomi: Naftali, Eyal, Gilad. Perché li sentiamo anche “nostri” ragazzi. E continuiamo a seguire l’impegno dei loro genitori, esempio di dignità per il mondo intero. La mamma di Naftali che insegna col suo coraggio l’importanza di incontrarsi. Ha cercato un’altra mamma, quella di Mohammad, un ragazzo arabo barbaramente bruciato vivo.
Ma la pace che domandiamo per Gerusalemme sarà possibile solo quando sarà interamente compiuto il progetto Due Stati per Due popoli. Ciò potrà avvenire solo se sarà garantita la piena sicurezza di tutti con il rispetto del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e il diritto del popolo ebraico al proprio stato nazionale.
Lo pronuncio qui in questa prestigiosa sala, lo dirò tra qualche ore a Betlemme davanti alle Autorità Palestinesi.
L’esistenza dello Stato d’Israele non è una gentile concessione della comunità internazionale dopo la Shoah. L’esistenza di Israele precede di secoli ogni accordo internazionale. E lo Stato Israele esiste nonostante l’Olocausto.
Qualcuno oggi prova ancora a mettere in dubbio il diritto all’esistenza di questo Stato. Per tutto quello che ci siamo detti fino ad adesso appare chiaro a tutti e a ciascuno che voi non avete semplicemente il diritto a esistere. Voi avete il DOVERE di esistere. Il dovere di esistere, il dovere di resistere, il dovere di tramandare ai vostri figli, ma anche ai miei tre figli. Francesco, Emanuele, Ester.
E noi saremo sempre al vostro fianco in questa sfida.
Allo stesso tempo l’Italia farà di tutto per consentire ai territori palestinesi di uscire dalla condizione di difficoltà nella quale si trovano, a cominciare da quella economica. Una parte significativa della cooperazione internazionale – alla quale dedichiamo sempre maggiore attenzione – si è rivolta storicamente a questo mondo: continueremo a incoraggiarla con cura e dedizione. E nel pomeriggio visiterò il Centro per la Pace della Fondazione Giovanni Paolo II e la Casa Famiglia Focolare dei figli di Dio. Passa dal ripristino delle condizioni economiche basilari e dall’investimento educativo sulle nuove generazioni la ripartenza di qualsiasi territorio. A maggior ragione della Palestina di oggi alla quale l’Italia conferma tutta la propria cura e attenzione.
Ci sono state e ci sono, tra noi, opinioni giudizi valutazioni diverse, è già accaduto in passato. Oggi la questione iraniana costituisce uno di questi momenti. Comprendo le vostre preoccupazioni e ho ascoltato l’allarme lanciato dai vostri leader.
Insieme agli Stati Uniti d’America noi riteniamo che questo accordo possa costituire un compromesso utile a rendere meno insicura la regione. Vorrei essere molto chiaro: non sarà mai possibile alcun compromesso in ordine al futuro di Israele. E non lo facciamo per un atto di rispetto o di generosità. Dobbiamo essere molto chiari e espliciti: la vostra sicurezza è anche la nostra sicurezza. Amici della Knesset, noi condividiamo radici e valori, ce lo siamo detti. Ma condividiamo una cosa ancora più grande: condividiamo il destino e nessuno di noi può far finta di ignorarlo.
I figli di Abramo dunque devono domandare pace per Gerusalemme perché la pace per Gerusalemme significa la pace per il mondo intero.
Preparando questo intervento sono andato a rileggermi i passi di Bereshit (che in italiano chiamiamo la Genesi). E sono rimasto colpito dall’episodio narrato in genesi 14, 13-16 quando un fuggiasco scampato alla guerra che imperversa tra i Re di quelle terre avverte Abramo del rapimento di suo nipote Lot.
Due punti mi colpiscono di questo passo. Abramo riesce a vincere pur avendo un numero esiguo di soldati, pur essendo sfavorito sulla carta.
E Abramo viene chiamato, per l’unica volta nella Torah, “l’Ebreo”. I maestri del pensiero rabbinico ci dicono che Abramo viene chiamato così perché lui, lui solo, ha avuto il coraggio di raggiungere l’altra sponda. È il profeta che è riuscito, con una scelta di iniziale solitudine, a vedere un “oltre”, un altro mondo.
Abbiamo bisogno di questa capacità di andare oltre. Di vedere un oltre. I figli di Abramo possono fare una pace duratura solo se hanno e avranno questa capacità.
Signor Presidente,
ho raccontato a Lei e ai membri di questa Assemblea, l’emozione che mi suscita il punto di arrivo di questo laico pellegrinaggio, Gerusalemme.
Mi permetta di raccontarLe concludendo il punto di partenza. Siamo tutti cittadini del mondo ma siamo tenacemente aggrappati alla nostra origine, alle nostre città. Anche per questo mi permetta di omaggiare il Presidente della Comunità Ebraica italiana, l’avvocato Renzo Gattegna che ci onora con la sua presenza.
Vengo dalla nobile città di Firenze. A Firenze molti simboli richiamano la nostra amicizia. Una meravigliosa Sinagoga. E sono stato molto fiero di averla illuminata come primo atto della mia amministrazione. Prima dall’alto di Firenze la Sinagoga non si vedeva, e mi sembrava una cosa sbagliata. Penso alle tante storie che ho incrociato ieri camminando dentro l’abisso e la luce di Yad Vashem. Penso alle persone che hanno perso la vita, che sono state deportate, penso ad un mio amico, che sopravvissuto all’Olocausto da fiorentino accompagnava intere generazioni di studenti ad Auschwitz insieme alle amministrazioni pubbliche. Si chiama Nedo Fiano, vorrei che il suo nome risuonasse in questa aula.
Tutte le volte che viaggiava con noi verso Auschwitz, Nedo mi diceva: ‘Matteo, per me è una sofferenza, perché su quel binario per l’ultima volta ho incrociato gli occhi azzurri di mia mamma. Però lo faccio, rivivo quel dolore, perché per le nuove generazioni sia un dovere ricordare e tramandare e vivere appieno la vita’.
Quante storie straordinarie negli esempi di quelle suore cattoliche che non soltanto salvarono la famiglia Pacifici, ma anche la fede di quei bambini. Era usanza nel convento di Firenze per i bambini che erano con le suore di avvicinarsi la sera e baciare la croce che avevano al collo. Trovandosi due bambini ebrei nascosti, perché gli altri non si accorgessero di loro, le suore li facevano avvicinare, ma per rispetto della loro fede non baciavano la croce mettendo due dita sopra, mantenendo la loro identità. Ed è bellissimo pensare che uno dei loro figli sia diventato presidente della comunità ebraica di Roma.
E ancora, pensando alla mia città, quale onore quando Yad Vashem ha riconosciuto Gino Bartali, campione di ciclismo, vincitore di due Tour de France, come giusto tra le nazioni, perché salvava fratelli che magari non conosceva neanche. In ogni città italiana ci sono storie di questo genere.
Concludendo il mio discorso vorrei che tornassimo all’immagine della cultura e della bellezza. Certo è straordinaria, vertiginosa, senza fine, la bellezza di coloro che hanno salvato la vita di altri fratelli e sorelle. Nella mia città c’è la bellezza che si esprime attraverso la cultura: ci sono tanti simboli, i quadri degli Uffizi, i monumenti dei musei, delle chiese, della sinagoga. Ma c’è un simbolo che rappresenta Firenze nel mondo: il David di Michelangelo, il capolavoro assoluto del suo genio, la bellezza fatta pietra, la bellezza recuperata soltanto togliendo ciò che stava di superfluo come avrebbe detto Michelangelo. Mi piace pensare a David, al simbolo che rappresenta, per la vostra cultura che è la nostra cultura. Come David, ciascuno di noi è chiamato a vivere una vita di difficoltà e sfide, ma anche una vita nella quale si possa portare i propri valori dal passato prendendoli per mano verso il futuro. Noi, popolo italiano, governo italiano, abbiamo affetto riconoscenza e stima nei vostri confronti, e vi diciamo anche, a testa alta, che se in alcune circostanze non abbiamo le stesse opinioni su tutto, abbiamo la stessa opinione su un fattore fondamentale: il vostro destino è il nostro destino, la vostra sicurezza è la nostra sicurezza, insieme costruiremo un mondo più giusto, più bello, più uguale.
(24 luglio 2015)