Il pericolo nucleare
Nel mese d’agosto ricorre l’anniversario dello sgancio dei due ordigni nucleari su Hiroshima e Nagasaki: settant’anni dopo questa strage l’incubo dell’atomica è ancora in mezzo a noi. Anche alla luce dell’intesa sul nucleare iraniano, non si può dimenticare la figura del filosofo tedesco di origine ebraica, Günther Anders (1902-1992), allievo di Edmund Husserl e Martin Heidegger, e uno tra i pensatori più influenti nella lotta contro il riarmo nucleare. Una personalità complessa e permeata di un costante pessimismo, che aveva strutturato il proprio pensiero sul concetto che l’uomo fosse “ormai antiquato”, perché ciò che ha prodotto e continua a produrre gli è da tempo superiore, ed egli ne ha perso il pieno controllo, la cognizione, così come la sopportazione delle atroci conseguenze. Un’incolmabile distanza, un “dislivello prometeico” tra l’uomo e i prodotti tecnici che oltre per il proprio lavoro o per la propria utilità, possono condurre all’annientamento dell’umanità stessa, e i quali avrebbero già portato alla creazione di un mondo dove l’uomo non è più in armonia con il creato, ma costituirebbe invece un’eccedenza impossibile da far rientrare. Un mondo in definitiva, senza più l’uomo. Anders, era giunto anche all’idea estrema dell’abbandono del pacifismo e della lotta non-violenta, dove questa sarebbe dovuta divenire non più il mezzo ma il fine, poiché contro “chi prepara la nostra distruzione non ci potrebbe essere altra via che quella di una contro-violenza”, o legittima difesa. Un concetto che lontanamente ricorda, quello del Pikuach Nefesh dell’Halakhah.
Oggi la lezione di Anders sembra rimasta un’altra “vox clamantis in deserto”, e il nucleare continua ad essere parte invece del nostro presente, e del nostro domani…
Francesco Moises Bassano
(14 agosto 2015)