Viaggio nel tempo
È confortante pensare – e infatti ce lo ripetiamo spesso – che i popoli antichi che ci hanno perseguitato non esistono più da millenni mentre noi siamo sempre qui. Il problema è: chi dice che noi siamo sempre gli stessi e gli altri no? Non siamo gli unici a rivendicare continuità. Il nazionalismo tedesco non si richiamava forse agli antichi Germani e quello francese (persino nell’allegra e bonaria forma di Asterix) ai Galli? Per non parlare dei greci (a leggere e sentire certi discorsi un mese fa si faticava a capire se si stesse parlando di un referendum o delle Termopili). Anche noi italiani ci troviamo come primo personaggio citato per nome nel nostro inno nazionale un generale romano vissuto 2200 anni fa. Dunque i Romani distruttori del Tempio di Gerusalemme per cui abbiamo da poco digiunato ci sono ancora? O, per lo meno, ci sono ancora i loro discendenti, e noi ebrei italiani ogni volta che cantiamo l’inno nazionale proclamiamo orgogliosamente di essere tra questi? Non è esattamente così. Chi è “Scipio” del cui elmo l’Italia si è cinta la testa? Publio Cornelio Scipione detto l’Africano, la cui più importante impresa è stata la vittoria contro Annibale Barca. Barca? Che nome è? Da dove spunta? A quanto dicono i libri di storia il nome deriva da “barak”, che nella lingua dei Cartaginesi (cioè dei Fenici) significa “fulmine”. Suona familiare, vero? Così familiare che ho maturato una convinzione: se potessi prendere una macchina del tempo e tornare agli anni della seconda guerra punica, anche se il mio ebraico non è un granché, con ogni probabilità, sarei in grado di conversare più facilmente con Annibale che con Scipione l’Africano. Forse Annibale (come mi è capitato con gli arabi israeliani) arriccerebbe un po’ il naso per la mia incapacità di distinguere nella pronuncia le alef dalle ain o le chet dalle khaf, e forse qualche parola diversa tra il cartaginese e l’ebraico biblico qua e là ci sarebbe, ma tutto sommato credo che riusciremmo a intenderci, cosa che dubito fortemente potrebbe riuscirmi con Scipione, con buona pace del nostro inno nazionale e della mia abilitazione all’insegnamento della lingua latina. E se fosse vero che potrei intendermi con Annibale – discendente africano di un popolo vicino di casa degli ebrei molti secoli prima – a maggior ragione potrei farlo con il re David o con il profeta Geremia.
Se poi anziché parlare di lingua si parlasse di cultura, religione, tradizioni? Per quanto sia un terreno minato, in cui ciascuno trova continuità e discontinuità in base a ciò che vuole dimostrare, direi che ci sono comunque ben pochi dubbi su chi somiglia di più ai propri antenati: anche se non riuscissi a conversare molto agevolmente con David e Geremia, se il viaggio nel tempo avvenisse intorno a Pesach potrei comunque celebrare il seder da loro: non sarebbe esattamente identico a quello di casa mia, ma si sa che ogni famiglia ebraica ha le proprie abitudini particolari. Quale festa potrebbe celebrare un italiano di oggi con Scipione, un tedesco con Arminio, un francese con Vercingetorige, un greco con Aristotele?
Anna Segre, insegnante
(14 agosto 2015)