The Sound of Tel Aviv, la città che va a ritmo
La musica di Tel Aviv si annida ovunque. Dietro la fontana arcobaleno di Dizengoff, alla fermata dell’autobus, in riva al mare. È il ritmo dei matkot, i famigerati racchettoni, che scandiscono i pomeriggi della città, sono dei secchi di vernice rivoltati che fanno da tamburi improvvisati. A raccontarla è “The Sound of Tel Aviv”, la mostra fotografica di Mario Troiani che riempirà le sale del Felicja Blumental Music Center, l’associazione cittadina dedicata alla musica nel cuore di Bialik street, fino a ottobre.
Nato a Milano, Troiani vive a Tel Aviv da tre anni e da uno è diventato cittadino israeliano. Ha lavorato come fotoreporter in Cina, India e Indonesia e si è dedicato alla fotografia in ambito cinematografico per Medusa Film e Istituto Luce. A Pagine Ebraiche racconta i suoi nuovi progetti.
Cosa ci fa dunque un fotografo italiano a Tel Aviv?
Mia moglie ha vissuto in Israele da bambina e spesso l’abbiamo visitata insieme nel corso dei nostri diciotto anni insieme. Poi, durante un’estate, ho conosciuto Tel Aviv e mi sono letteralmente innamorato di lei. È un luogo straordinario a livello fotografico e ha una luce spettacolare; tra le vie c’è poi un impressionante accostamento tra vecchio e nuovo. Sono stato io a proporre di fare la spola tra Milano e Tel Aviv fino a quando mi sono reso conto che passavo più tempo in Israele che in Italia.
Poi cosa è successo?
Ho fatto quello che faccio da tutta la vita: fotografare. Ho aperto una pagina su Facebook intitolata “Italian in Tel Aviv” e ho iniziato a pubblicare una foto al giorno dedicata alla città. I riscontri positivi non sono tardati ad arrivare e gli stessi israeliani mi hanno inviato i loro apprezzamenti. Da italiano ho colto i particolari che potrebbero essere invisibili ad altri occhi mostrando un lato inedito di un posto rubato alla quotidianità, quasi uno straniamento.
Come nasce “The sound of Tel Aviv”?
A contattarmi è stato lo stesso Felicja Blumental Music Center, che mi ha lasciato carta bianca. Ho potuto allora confrontarmi con me stesso e chiedermi: come dovrei rappresentare la musica di Tel Aviv? Se inizialmente pensavo di realizzare qualcosa di concettuale, legato magari alle onde, ho deciso poi di inserire dei musicisti sulla scena urbana e vedere come essi avrebbero interagito con la società e lo spazio circostante. Il progetto farà da apripista a una serie di altre iniziative che legheranno insieme arte e musica. A sponsorizzarlo è stato il comune di Tel Aviv e la biblioteca Beit Ariela.
Non nascondi il tuo amore per Tel Aviv: quali sono i tuoi posti preferiti e cosa pensi dell’eterno conflitto della città bianca, simbolo per molti della movida e della gioventù, con Gerusalemme, spesso identificata come un luogo quasi ingabbiato in un tempo passato?
Amo Tel Aviv perché c’è un’integrazione perfetta grazie alla quale tutti riescono ad essere liberi di esprimersi per come sono realmente. Mi piace andare in spiaggia di inverno al tramonto e godermi l’ultimo sprazzo di sole o camminare per Yafo e perdermi per le strade vicino al mercato di Shuk HaCarmel. Amo l’umanità di Tel Aviv. Gerusalemme sto iniziando a frequentarla da un po’ e devo ammettere che mi sembra al centro di un cambiamento, un cambiamento realizzato dai giovani. Ma, in effetti, non è forse proprio Israele il paese per eccezione che si modifica grazie all’intervento dei giovani? Non ho mai pensato di politicizzare le mie foto, di parlare di conflitti. Il mio scopo è quello di catturare la bellezza.
In conclusione cosa ti colpisce della tua nuova città d’adozione?
A Tel Aviv si respira internazionalità, gli israeliani viaggiano moltissimo e al loro ritorno portano sempre qualcosa con loro: ricordi dell’India, della Thailandia del Sud America. I cittadini hanno un atteggiamento sostanzialmente aperto: se credono che tu possa dare qualcosa alla società sono loro i primi a coinvolgerti. Nonostante sia appena emigrato e non conosca molte persone, sono stati loro a contattarmi perché interessati al mio lavoro. E poi qui si ha lo stimolo a realizzare: entri in un bar e scopri che i proprietari sono tre ventenni che hanno avuto un’idea. In Italia non è impossibile realizzare i propri sogni, ma in Israele c’è una spinta in più.
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
(In alto alcune foto della mostra “The sound of Tel Aviv”)
(25 agosto 2015)