Time out – Boicottaggi
È incomprensibile l’attrazione che provoca il tentativo di boicottaggio dei prodotti israeliani su alcuni esponenti dell’ebraismo progressista italiano. Per qualcuno non sono neanche antisemiti o odiatori d’Israele, mentre dovremmo essere felici perché hanno smesso di essere terroristi e tirare missili (non ce ne eravamo accorti). Per altri invece il senso di colpa è talmente alto da proporre il boicottaggio dei prodotti israeliani certificati da rabbini che incoraggiano o difendono la violenza. Premesso che la violenza non piace a nessuno, sarebbe bene definire cosa significhi difendere la violenza. Se per esempio riguarda quei pochi folli che la giustizia israeliana punisce in quanto Stato democratico o anche coloro che vivono in territori contesi e su cui ci sarebbe a lungo da discutere. Quello che è certo che nessuno può obbligare nessun altro a comprare certi prodotti e se non piacciono alcuni rabbini si ha diritto a non comprare i prodotti da loro certificati. Certo, per farlo ci vorrebbe una certa coerenza e proporsi, quantomeno individualmente, di evitare di acquistare anche le merci prodotte nel resto del mondo i cui standard di democrazia sono certamente inferiori a Israele o magari anche controllare che frutta e verdura italiane non provengano da campi dove gli immigrati vengono regolarmente sfruttati. Non so se questo renda i prodotti meno casher, so che chi propone forme velate di boicottaggio dei prodotti israeliani dovrebbe stare un po’ più attento ed evitare facili buonismi su questioni su cui non si sa nemmeno se esista il problema.
Daniel Funaro
(27 agosto 2015)