Rav Levi: “Il mio sogno per Firenze?
Una scuola che educhi al dialogo”
“Nel solco della sua storia, sia antica che moderna, Firenze è chiamata a interpretare un ruolo naturale di ponte. Per questo ho proposto al sindaco Nardella di implementare un progetto su cui stiamo lavorando da tempo: una scuola permanente che educhi al dialogo e alla pace. Ci sono tutte le caratteristiche al posto giusto per riuscire in questa sfida”.
Sono quasi vent’anni che rav Joseph Levi esercita il suo magistero di rabbino capo a Firenze. Vent’anni intensi, segnati da grandi incontri e riconoscimenti. In una città, spiega, che corrisponde in pieno “al mio modo di vedere il mondo, il dialogo tra culture, il ruolo dell’ebraismo nella civiltà moderna”.
Il messaggio universale di Firenze è quindi ancora valido?
Sì, senz’altro. Dall’Umanesimo al Novecento, non ha perso determinate prerogative. Basti pensare ai ‘Colloqui mediterranei’, frutto della visione di La Pira. O ancora al fatto che a Firenze sia sorta un’amicizia di dialogo ebraico-cristiano ancor prima che venisse promulgata la dichiarazione Nostra Aetate. In questa città, nella sua storia e nella sua gente, c’è una naturale predisposizione all’incontro con l’Altro.
Guardando all’arco temporale del suo magistero, quali i momenti più significativi da ricordare?
Uno su tutti: l’aver costruito un legame amichevole con i leader della comunità islamica. Le occasioni di incontro con l’imam non si contano più, sia privatamente che in pubblici incontri in cui siamo chiamati a portare una testimonianza in virtù del nostro incarico. Da parte mia, e da parte di altri esponenti della Comunità, non è inoltre mai mancato il fermo sostegno alla realizzazione di una moschea all’interno del territorio comunale. Così come, sul versante islamico, significativa è sempre stata la disponibilità a partecipare a progetti e iniziative comuni.
Quale lezione trarre da questo impegno?
Che la strada dell’incontro va sempre perseguita e che è fondamentale lavorare ogni giorno sui valori, e non sono pochi, che ci accomunano. Mai abbandonare questo orizzonte.
Firenze ha sempre reagito in modo adeguato?
Sì, sia a livello di cittadinanza che di leadership. Faccio un esempio: Nardella, in ragione degli impegni sopra elencati, tra i primi atti del suo mandato ha voluto attribuire il Fiorino d’Oro ai leader religiosi fiorentini. La più alta onorificenza, conferita per riaffermare quelli che sono da sempre i valori testimoniati nella storia da Firenze. Un messaggio forte e simbolico.
Altri riconoscimenti che l’hanno colpita?
I rapporti con le istituzioni sono sempre stati intensi e proficui. E le gratificazioni sono seguite di conseguenza. Ne cito due: l’invito a tenere una lectio magistralis in Palazzo Vecchio nell’anniversario della Liberazione e le parole di stima del primo ministro Matteo Renzi nel suo discorso alla Knesset di pochi giorni fa. Due situazioni che mi hanno emozionato.
C’è un ponte cui è particolarmente affezionato?
Il ponte Santa Trinita, per una questione di tramonti e bellezza. La bellezza è un valore imprescindibile, perché unisce tutti gli uomini e li aiuta a vedere la realtà sotto un profilo più armonioso.
Adam Smulevich, Italia Ebraica
(31 agosto 2015)