Diario

Sara Valentina Di Palma Nel 1927 è nato mio fratello Gino, mentre io iniziavo a frequentare la prima elementare. Il mio periodo di scuola andava bene e mi piaceva, ma purtroppo le bambine che abitavano vicino a casa mia, mi rimproveravano perché non andavo a messa e non mi vestivo da “Piccola Italiana”. Più gli anni passavano e diventava sempre peggio. Evidentemente erano condizionate in casa, perché non penso che da sole sarebbero arrivate a questo. Non parliamo del giorno della “Comunione” o della “Cresima” perché venivano a farsi vedere coi bei vestiti da “sposina” come li chiamavano loro.
I miei in casa mi spiegavano il motivo perché a me non era permesso. Io capivo benissimo le loro spiegazioni e pensavo che veramente avessero ragione, ma ciò nonostante per me era una pena. In fondo avevo otto e dieci anni quando facevano quelle cerimonie. Pensavo che alle superiori sarebbe stato diverso, invece!!
Non erano i miei compagni a fare osservazioni, che loro se ne fregavano, ma erano le nuove disposizioni. C’era venuto l’obbligo della tessera da “Giovane Italiana” e l’obbligo al sabato di andare a scuola in divisa. I professori dovevano vigilare che l’obbligo fosse rispettato. Per tre anni con una scusa o con l’altra io non rispettavo un bel niente, e al quarto anno ho dovuto lasciare la scuola con mio grandissimo dispiacere.
Mi ricordo, tra il periodo più difficile l’anno 1944. Noi eravamo nascosti in casa con cinque ex prigionieri russi. Senza contare che arrischiavamo ogni giorno la pelle, per paura delle spie. Non sapevi di chi poterti fidare. C’era purtroppo della gente che sembrava sicura, ed invece scoprivi che per quattro soldi era disposta a tutto.
25 Aprile 1998. Per me è una data molto importante. In questo giorno ho ancora chiarissimo il ricordo di allora, 53 anni fa. Il clima euforico di quella giornata, iniziata alle sette quando sono arrivate le prime notizie della resa dei fascisti e dei tedeschi. Chi non l’ha vissuto quel clima è inimmaginabile. Era giornata piovigginosa e fredda, ma era tanta l’euforia che non si sentiva né la pioggia né il freddo. Solo il giorno dopo, 26 Aprile, per Vigevano è stata la guerra vera e propria. Un treno di tedeschi stava arrivando da Mortara per andare a Milano. Prima di entrare nella stazione di Vigevano, all’altezza del ponte di Gambolò, in corso Genova, hanno catturato degli ostaggi. Dei civili che abitavano nei pressi della ferrovia.
Hanno legato un bambino davanti alla locomotiva, ed hanno ucciso dei civili. Un atteggiamento barbaro ed inutile. A questo punto i partigiani hanno reagito e dalla stazione, un prigioniero polacco che sapeva usare un’arma pesante a lunga gittata, ha centrato il treno quando entrava in stazione, e c’è stata la battaglia del treno, con diversi morti, da una parte e dall’altra. Tanti tedeschi sono stati fatti prigionieri e portati in castello. Sono stati consegnati al comando tedesco, venuti da Milano apposta per consegnarsi tutti agli Alleati.

“Ottobre 1995. I miei ricordi”. Così inizia lo scarno diario della nonna, scritto su sollecitazione mia, che studiavo proprio quanto ritenevo essere saliente nella sua vita, nella speranza che mi raccontasse, superando certe reticenze. Ma per lei forse non era altrettanto importante, o non degno di essere raccontato se non per sommi capi, o forse troppo doloroso da affrontare. In diciotto pagine, il diario ripercorre settantasette anni di vita, e Sole ci impiega tre anni per scriverlo. Il diario si interrompe, non datato, con riferimenti che lo collocano all’inizio del 1999, l’anno in cui Soliska compirà settantotto anni. Scrivi su quello che vuoi, di te stessa, l’avevo esortata. Ultima frase, riferita all’assenza della nipote sino all’estate e oltre: “Sarà un’attesa molto lunga e per me penosa”.

Allora per vincere a mia volta la pena preferisco ricordare, più del diario, i sapori del suo libro di ricette: le cipolle ripiene che ci vuole una vita a fare e mai mi riusciranno uguali, gli Knödel che a me vengono durissimi (ma spero sempre di incontrare un uomo come quello della storiella, il quale davanti ai morbidi Knödel della moglie continuava a dichiararsi insoddisfatto desiderandoli compatti come palline da golf, perché così li cucinava la sua amata yiddische mame), e soprattutto: quattro patate grosse, una cipolla, un uovo, un cucchiaio di farina, sale e pepe, tutto grattugiato, mescolato, e fritto in olio bollente. Che fritto è buono tutto, dicono in Toscana, e i latkes anche di più.

Sara Valentina Di Palma, ricercatrice

(3 settembre 2015)