Darius Milhaud

Maria Teresa Milano Mi piace prendere appunti quando sono in viaggio e non solo per fissare sulla carta i ricordi, ma perché ogni luogo racconta una storia che è bello continuare a leggere anche quando si ritorna nella quotidianità. E in ogni storia ritrovo immagini e memorie della vita ebraica, ma soprattutto torno ad ascoltarne l’espressione musicale.
La vacanza in Costa Azzurra mi ha condotta a Villa Kerylos e Villa Rotschild, in cui si intrecciano le storie di due grandi famiglie della borghesia ebraica colta e facoltosa nella Francia a cavallo tra ‘800 e ‘900 e nella puntata a Aix en Provence ho riscoperto la figura di Darius Milhaud, compositore prolifico, autore di circa 450 opere.
Ebreo originario di Marsiglia e pronipote di un fondatore della sinagoga di Aix en Provence, studia al conservatorio di Parigi e all’età di 28 anni entra a far parte del Gruppo dei Sei, evoluzione di quel circolo musicale nato da un’idea del compositore Eric Satie e appoggiato fortemente da Jean Cocteau, a cui fra l’altro è dedicato un museo davvero interessante a Menton. Il Gruppo dei Sei, che annovera fra i suoi componenti anche Francis Poulenc, si pone in netta contrapposizione con lo stile romantico e sperimenta nuove forme di dialogo tra i diversi generi musicali e tra le diverse espressioni artistiche.
La figura di Darius Milhaud si colloca dunque nelle avanguardie musicali del Novecento ma nella sua formazione è importante il legame con la tradizione liturgica ebraica, o meglio con quella del Comtat Venaissin che oggi conosciamo grazie all’imponente ricerca condotta alla fine dell’800 da Jules e Mardochée Crémieu, ma anche con la sefardita che gli trasmette la mamma. Milhaud ama la canzone popolare francese e il circo e quando nel 1917 si trasferisce in Brasile al seguito di Paul Claudel, si lascia affascinare dai ritmi sudamericani, dalle tradizioni popolari e dalle composizioni di Villa Lobos con cui stringe amicizia. Negli anni 20 incontra il Jazz, lo ama e lo inserisce nelle sue composizioni, convinto che quella musica che nasce dall’oppressione di un popolo sia l’espressione massima della libertà e l’autenticità scevra da artificiosità e accademia.
Collabora con i letterati del tempo, in particolare con André Gide, Paul Claudel ma soprattutto Armand Lunel, che considera non solo un grande amico ma anche il suo librettista ideale: “È solo grazie alla profonda amicizia e al suo talento che ho potuto lavorare sui libretti di Malheursd’Orphée, Esther de Carpentras, Maximilien, Barba Garibo e David”, dichiarerà in un’intervista negli anni ’60.
Nel 1940 porta in scena la sua opera Médée a Parigi. È all’apice della carriera, ma comprende che la situazione politica in Francia si sta aggravando e che per lui è giunto il momento di andarsene. Fortunatamente la Chicago Symphony gli commissiona un’opera e lo invita ufficialmente a dirigerla e lui parte con la famiglia alla volta dell’America, dove otterrà in seguito un incarico universitario grazie all’interessamento dell’amico ebreo francese, il direttore Pierre Monteux.
Nonostante la sua formazione ebraica sia riconoscibile già nelle opere giovanili, è soprattutto nelle composizioni dell’esilio americano (Caino e Abele, David e Ani ma’amin – testo di Elie Wiesel – per citarne alcune) che riaffiorano, forse con un po’ di nostalgia o forse per desiderio di saldare le proprie radici, le melodie che per molti secoli avevano intonato i cosiddetti Juifs du Pape.
Consiglio di ascolto: Darius Milhaud, La creation du Monde, diretto da Leonard Bernstein

Maria Teresa Milano

(21 settembre 2015)