…etnie
Insegnando storia dell’emigrazione (argomento piuttosto rilevante di questi tempi), capita di imbattersi in due vuoti molto visibili nella letteratura scientifica italiana sul tema. Sia che si parli di movimenti migratori, sia che si parli di minoranze linguistiche nella Penisola, gli ebrei e la loro storia non mi sembra vengano in alcun modo considerati. Esiste una legge, la n. 482/1999 con cui giustamente “la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo”. Ma se si va a vedere la consistenza numerica – ad esempio – dei parlanti la variante del tedesco nella val dei Mòcheni, vicino a Trento, si scopre che si tratta di qualche centinaio di persone in tutto, che ancora resistono (opportunamente tutelati e considerati dalla legge) nel portare avanti le proprie tradizioni. Non che gli ebrei in Italia siano stati mai tantissimi, ma credo che includere la loro storia nella nostra Penisola osservandola anche dal particolare prisma delle migrazioni e dell’insediamento delle minoranze linguistiche (senza relegarla nello stretto ambito della storia ‘religiosa’) contribuirebbe più di ogni altra cosa a riaffermare l’idea che la storia degli italiani è una storia di sovrapposizioni, interazioni e integrazioni plurietniche. Una vicenda di lunghissimo periodo, che continua ai nostri giorni. Non fu un caso a condurre l’ebreo goriziano Graziadio Isaia Ascoli a inaugurare la grande scuola di studi sulle varietà linguistiche (e quindi etniche) presenti in Italia. Egli stesso proveniva da una tradizione, quella ebraica di minoranza, che lo costringeva a confrontarsi con il moltiplicarsi dei linguaggi: imparare da giovanissimo ebraico e aramaico alla corte dello zio Samuele Vita Lolli, e poi latino e greco a scuola, e poi italiano e tedesco (ché nasceva suddito austriaco), e poi friulano e veneto e sloveno che erano le lingue che si parlavano per le strade di Gorizia, non poteva che produrre un grande maestro della linguistica come scienza necessaria.
Naturalmente non mancano studi sulle dinamiche insediative degli ebrei in Italia, né sulle loro varietà linguistiche. Sappiamo già molto su Sefarditi, Ashkenaziti e Bnei Romi, e ne conosciamo le lingue, dal Ladino allo Yiddish ai dialetti Giudaico-italiani parlati nei ghetti. E sappiamo che in Italia è stata prodotta una ricca letteratura in ebraico. E che dire dei numerosi cimiteri con le loro lapidi multilingue così affascinanti da spiegare ai visitatori. Tutto questo patrimonio non mi sembra venga considerato come parte integrante della complessa e ricchissima storia delle migrazioni che hanno caratterizzato il farsi dell’Italia che conosciamo, e mi sembra un gran peccato, a cui bisognerà porre rimedio.
Gadi Luzzatto Voghera
(25 settembre 2015)