Sukkot…
All’unità delle voci e dei propositi espressi a Kippur, come un solo uomo con un solo cuore, segue la diversità della festa di Sukkot. Una diversità che si esprime in capanne che, entro i limiti imposti dalla Halakhah, possono essere più ampie, più alte, più strette, con pareti in legno, in stoffa, in muratura. Una diversità che trova la propria unità nel tetto: da esso, di qualunque forma o materiale ‘casher’ sia fatto, bisogna poter intravedere le stelle ed il cielo, cioè la dimensione a noi lontana, il luogo simbolico delle nostre aspirazioni, dei nostri buoni propositi.
La Sukkà è il luogo della riunione dei contrasti, la continuazione materiale dell’unità spirituale espressa a Kippur, il luogo simbolo della nostra modernità, perché è un luogo esterno e rivolto al pubblico, ma contemporaneamente rivolto all’interno e destinato ad uso privato e familiare. Forse, nella capacità del superamento dei contrasti e nella capacità di saper stare insieme, spiritualmente e fisicamente, all’interno di un unico mondo-Sukkà, risiede il senso di una festa che definiamo zman simchatenu, tempo della nostra gioia, perché si tratta di una gioia conquistata dall’incontro.
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
(25 settembre 2015)