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Vincenzo Pinto è un giovane ricercatore di storia contemporanea che da anni svolge ricerche sul rapporto fra la destra e gli ebrei. Studioso anti-conformista, a suo modo ribelle, ha compreso come il panorama di ricerche, in Italia ma non solo, sia sbilanciato a sinistra, trascurando il lungo e intenso scambio di amorosi sensi che gli ebrei europei hanno saputo intrattenere con il mondo conservatore. Esce adesso dalla casa editrice Le Lettere “In nome della patria. Ebrei e cultura di destra nel Novecento”, dove sono raccolti contributi su Jabotinsky, Isaac Kadmi-Cohen, Joseph G. Klausner, Hans J. Schoeps e, per l’Italia, un interessantissimo saggio su Ettore Ovazza, fatto uscire, finalmente, dagli schemi biografici “tragici”, entro i quali è stato costretto. Di Ovazza Pinto analizza gli scritti, i saggi, le opere di narrativa ricostruendo con precisione i contorni di una figura particolare, non unica nel panorama italiano degli anni Trenta (la sua prosa ricorda Pitigrilli). Se un rilievo si può e si deve fare a Pinto è l’eccessiva attenzione riservata ai casi estremi, quasi un’attrazione fatale per i nazionalisti più accesi, filo-fascisti o fascisti della prima ora. Manca invece, in Italia, uno studio sul rapporto fra ebrei e mondo conservatore moderato; per esempio Pinto sarebbe la persona giusta capace di darci uno studio sull’influenza che Giovanni Gentile ha esercitato sulla migliore gioventù ebraica primo-novecentesca, soprattutto sionista. A Isacco Sciaky, gentiliano di stretta osservanza, proprio Pinto anni fa aveva dedicato un ottimo lavoro dove si dimostrava, testi alla mano, che i progetti scolastici del primo sionismo italiano fossero ispirati a quella riforma gentiliana del 1923, che ebrei democratici, repubblicani e socialisti contestavano per aver reso obbligatorio l’insegnamento della religione nella scuola elementare. Cacciata dalla finestra, la riforma Gentile rientrava dalla porta dei progetti didattici dei kibbutz, anche quelli laici e socialisti (penso ai lavori sulla scuola dello stesso Enzo Sereni), che approfittavano della lezione di Gentile, facendola propria.
Alberto Cavaglion
(30 settembre 2015)