In ascolto
Note sotto la Succah

Maria Teresa Milano Riempite la vostra succah di ospiti e sotto le frasche cantate con gioia. Ogni capanna risuona di melodie dai quattro angoli della terra, melodie anche molto diverse tra loro, tramandate di generazione in generazione o composte da autori in epoche e contesti musicali differenti. Tradizione sefardita, musica chassidica, piyyutim, folk israeliano e rivisitazioni metal, mizrachi e hip hop, tutti hanno dato il loro contributo alla celebrazione di succot.
Cominciamo da Rabbi Raphael Antebi Tabbush di Aleppo, Siria (1830-1918) grande studioso della musica delle comunità ebraiche siriane e autore di oltre 400 pizmonim, tra cui alcuni ovviamente per succot. Era soprannominato “il ladro” perché era solito frequentare le feste di matrimonio e altri eventi importanti del mondo arabo dove prendeva a prestito le melodie, vi componeva il testo in ebraico e trasformava la canzone popolare in canti di festa. Il suo primo libro, Shirah Hadashah, uscì ad Aleppo nel 1888. A quanto si dice il suo talento poetico era talmente grande che anche quando chiacchierava con qualcuno riusciva a creare versi sull’argomento di discussione.
Etnomusicologi di ieri e di oggi, come Edwin Seroussi o Yaakov Mazor, che hanno raccolto le canzoni un tempo intonate nelle piccole comunità ebraiche della diaspora. Alcune sono davvero interessanti, come “Matay yevussar am” che nasce da una melodia militare afghana o “Succa velulav leam segulla” della Comunità di Bombay, con accompagnamento musicale in tipico stile orientale.
E poi ci sono le canzoni d’autore che hanno rallegrato intere generazioni e oggi sono ritenute patrimonio della tradizione: “Shlomit bonah succah” di Naomi Shemer, “Basuccah shelanu” di Moshe Wilenski e “Rov Brachot” di Matityahu Shalem, tanto per citarne alcune. Negli anni alcuni compositori, tra cui Nahum Nardi, ebreo di Kiev emigrato in Eretz Israel negli anni ’20, pianista e autore prolifico, si sono cimentati anche con la messa in musica dei versetti biblici letti in occasione della festa.
Ma accanto alla tradizione in tutte le sue espressioni e alle melodie rassicuranti del folk israeliano da qualche anno hanno cominciato a fare capolino canzoni in cui l’ebraico incontra l’inglese e la narrazione antica viene travolta dai suoni della contemporaneità, come in “Shake it”, del rapper americano Y-Love, nato da padre etiope e madre portoricana e convertitosi all’ebraismo a 14 anni. Il Jerusalem Post lo ha definito uno “spiritual rapping guru”.
Altri invece, come i Fountainheads, reinterpretano la musica delle feste girando video divertenti che per lo più sfiorano l’assurdo e se per Rosh Hashanah intingono la mela nel miele ballando “Waka Waka”, per Succot cantano “Living in a booth” sulle note di “Marry you” di Bruno Mars.
Quello delle feste è davvero un oceano di musica e in questo oceano vorrei ricordare un artista straordinario, Theodore Bikel, attore e cantante, star di Broadway che negli anni ’50 incise diversi album di canzoni ebraiche e canzoni russe. È scomparso lo scorso luglio all’età di 91 anni e su Moked è uscito un suo ritratto.
Consigli di ascolto: Theodore Bikel, “Sukka bakerem”, Piyyut per sukkot e simchat Torah (tradizione di Firenze e Livorno)

Maria Teresa Milano

(1 ottobre 2015)