“Boker tov, Volodja”
Baruch Kotler è in fuga; dallo scandalo personale che lo espone, insieme alla sua giovane amante Leora, al ludibrio pubblico; dall’imminente dramma del suo amato paese, Israele, causato dalla decisione del governo di cui lui stesso è ministro, di ritirare gli insediamenti dai territori. Kotler vi si è opposto, è stato ricattato: ma non è uomo che cede, Baruch Kotler, nato in Unione Sovietica, giovane musicista prodigio, scienziato, refusnik, tradito da un compagno ebreo infiltrato dal KGB, incarcerato per 13 anni e infine libero, eroe, politico, ministro. Baruch Kotler è in fuga da se stesso.
È a Jalta, con Leora.
A Jalta, dove da piccolo andava con mamma e papà, dove tutto è cambiato, e niente è cambiato.
Il caso mette Baruch a confronto con il suo passato tragico, e intriga ancor di più il suo presente complicato. La strana coppia – lui sessantatré anni, lei poco più di un terzo, lei bella e risoluta, lui un piccoletto grasso e stempiato quanto irrisolto – per un disguido finisce ospite nella casa di Svetlana e suo marito – ‘un ebreo come loro due’ – dice la donna per convincerlo. È l’argomento adatto per Baruch, mentre a Leora pare il contrario, è un rischio da non correre per una persona molto nota, soprattutto agli ebrei russi, in fuga, e inseguita dalla curiosità dei mezzi di informazione.
E infatti. Ma peggio. Perché il marito di Svetlana, Chaim – o come si fa chiamare ora, Volodja – è l’ebreo compagno di stanza che, dopo averne ottenuto la confidenza, tradì e denunciò Boris, che da quando era tornato in Israele si fa chiamare Baruch.
E altro non si deve dire: questo è un libro pieno di sorprese, un ‘voltapagina’, ma scritto bene.
Prende dalla prima pagina questo thriller senza indagine – dove nessuno è del tutto colpevole, ma nessuno è innocente -, e presto diventa difficile staccarsene. La Storia si infiltra nella storia, e né la prima né la seconda faranno sconti a Baruch, eroe malgrado se stesso, eroe, forse, proprio perché tradito.
David Bezmozgis, 43 anni, nato a Riga ma presto emigrato in Canada, ha il tocco di uno sceneggiatore da serie TV di successo, che però ha letto sia Cechov sia Malamud (non posso togliermi il piacere di segnalarvi che anche il secondo volume della Raccolta dei Romanzi e Racconti di questo gigante molto nominato ma non mai abbastanza letto, è appena uscita, per i Meridiani di Mondadori, a cura di Paolo Simonetti, e con una nuova, notevolissima traduzione, di Monica Pareschi, de “Le Vite di Dubin”).
Con “I traditori” (traduzione di Corrado Pizetta, Guanda, €17), Bezmozgis mette in scena un vertiginoso gioco di specchi, dove riconoscersi nei propri nemici non è raro, ma può risolversi in opportunità: le storie, le vite sono doppie, triple, multiple come le opinioni, ma la Storia è un grande rullo compressore, condiziona tutti e dimentica i singoli. Con questo romanzo, vincitore fra l’altro del National Jewish Book Award, Bezmozgis entra nel novero della letteratura sull’emigrazione ebraica, e ne rinnova – con i consueti elementi di tragedia e commedia – le sorti.
Non pochi fra voi, infatti, avranno forse notato che questo Baruch Kotler assomiglia parecchio – anche fisicamente, oltre che nelle vicende biografiche – a Nathan Sharansky: beh, è proprio vero, amante giovane a parte, pare. Ed è dunque così, con sfacciata onestà, che Bezmozgis ottiene il suo miglior risultato, quello – mentre ci si appassiona per vedere come va a finire – di far riflettere sul presente e sul futuro dello Stato di Israele, le cui opportunità e minacce non sono cambiate, anzi, si stanno facendo sempre più pressanti da quel 2005 in cui Sharansky uscì effettivamente dal Governo.
Valerio Fiandra
(7 ottobre 2015)