Garfunkel e il senso della vita
“La schiavitù digitale uccide”
Si fa le domande da solo e poi risponde, a volte parla di sé in terza persona come Giulio Cesare, si lancia in lunghe digressioni attraverso le quali ragiona sul fascino delle città universitarie americane e sui ragazzi ipnotizzati da smartphone e tablet. Nell’ampia intervista pubblicata da Salon, Art Garfunkel, celebre metà dello storico duo Simon & Garfunkel, si mette a nudo ma non troppo, racconta i nuovi progetti in cantiere e dimostra una vis tutt’altro che affievolita nonostante ammetta di “essere un uomo di un’altra epoca”.
Nato nel Queens 73 anni fa da una famiglia ebraica originaria della Romania (il padre Jacob faceva il commesso viaggiatore), Garfunkel è reduce da un concerto al Carnegie Hall di New York oltre che uno a Tel Aviv dove lo scorso giugno non ha mancato di sfoggiare la kippah in testa.
Artista eclettico, con il suo ex partner artistico Paul Simon (originario di una famiglia ebraica ungherese) ha cantato brani immortali come “The Sound of Silence”, colonna sonora de Il Laureato, oltre che “Bridge over troubled water” che nel 1970 rimase prima in classifica per ben sei settimane ed è considerata una delle canzoni più significative del panorama musicale americano.
Dopo la separazione da Simon, Garfunkel ha avviato una carriera di solista non disdegnando qualche ruolo sul grande schermo e facendo sognare saltuariamente i fan con delle reunion.
“D’accordo, parliamo delle cose noiose – dice a Salon, raccontando i progetti in pentola – oltre ai concerti al Carnegie e al Royal Albert Hall di Londra, la Columbia ha da poco pubblicato la collezione completa degli album composti con quell’altro tizio (Paul Simon) e hanno inciso tutto su vinile: Dio quanto mi mancavano i vinili, avevo dimenticato quanto fossero fantastici. La PBS ha poi trasmesso con successo il nostro concerto a Central Park, ho infine appena ripubblicato il mio bambino ‘The singer’, due cd nei quali ho selezionato la musica migliore fatta con Paul e senza di Paul”.
“Amo esibirmi dal vivo – prosegue Garfunkel – ma quello che davvero mi prende in questo momento è la stesura della mia autobiografia: la scrittura e la musica hanno entrambe il ritmo, una danza che controllo come un burattinaio che tiene con le dita le fila. Cantare e scrivere hanno le stesse qualità: le sillabe cadono esattamente dove vuoi farle cadere e quindi la pagina ha un suo movimento”. Un lavoro, quello di scrittore, che entusiasma Garfunkel tanto da inframezzare gli ultimi concenti con delle letture: “Parlo di una ex ragazza, della mia famiglia, dello show business e della morte. Quale altra rockstar sale sul palco e fa delle letture sulla morte? Dico un sacco di cose dolci e positive ma altre più contorte. Gli esseri umani sono delle creature molto divertenti e complesse”. Passando vorticosamente da un argomento all’altro, Garfunkel non può fare a meno di ragionare sui tempi moderni: “Ogni giorno scrivo il mio libro, poi incontro mio figlio. Mia moglie Kim ed io cerchiamo di cenare con lui ma porta con sé sempre degli aggeggi con gli schermi che mi fanno perdere la sua compagnia. È il flagello della vita americana. Sai quale è il problema? Le persone continuano ad avere i nasi appiccicati; che fine fa l’atto di guardarsi intorno, ascoltare, parlare con loro? Perdi il senso dell’esistenza sulla terra per colpa di quei piccoli schermi. Dovremmo metterli fuorilegge, uccidono la stessa vita”.
“Ma forse le persone – conclude – lo fanno perché sono spaventate. Le persone sono sempre state timide, non bisogna mai sottovalutare la timidezza che si cela dietro tutto. Quando registravo i miei dischi bisognava stare in studio mentre i tecnici sistemavano tutta l’apparecchiatura e c’era sempre un giornale lì vicino e lo sfogliavi per ammazzare il tempo. Ma quegli schermi non si fermano mai. Loro non li usano per riempire una piccola parte della vita, stanno perdendo la vita vera. Forse dovrei dire a mio figlio di usarli un paio d’ore e poi metterli da parte. Forse dovrei fare così ma li amo troppo… Ma dunque, di cosa stavamo parlando?”.
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
(8 ottobre 2015)