In silenzio
Lasciamo perdere il gran parlare della cena di Bibi all’Enoteca Pinchiorri, anche se probabilmente, fatte le debite proporzioni, qualcuno anche qui ne riferirebbe con analoghi toni sprezzanti e di finto stupore, se riguardasse qualche correligionario locale. Fatto sta, e non c’è nulla da fare, che Bibi ed io siamo poco coordinati: quando è venuto a Firenze, me ne stavo ad abbrustolire al sole (quanto tempo senza una vacanza che non fosse togliere la sabbia dai cracker, nuotare di corsa a recuperare un bambino travolto dalle onde sul bagnasciuga, mettere braccioli togliere braccioli, mettere braccioli, togliere…). E quando è andato a New York, ironia della sorte, ero di nuovo a Firenze.
Dì là del disappunto per l’appuntamento mancato, penso ora non tanto a quanto Bibi ed io ci saremmo potuti dire, o a quanto ha detto alle Nazioni Unite, ma a quello che non ha detto, dopo l’ossimorico ‘silenzio assordante’ di denuncia della passiva acquiescenza internazionale di fronte alla minaccia iraniana.
Netanyahu infatti è rimasto in silenzio per 45 secondi, che sembra un lasso di tempo brevissimo ma se vi siete mai trovati in mezzo a Yom HaShoah in Israele quando alle 10 della mattina tutto si ferma per due minuti al suono della sirena, saprete che non è così.
C’è il tempo per pensare a dover stare fermi e zitti, e alla ragione per cui lo state facendo. Per ricordare che non siete passati dalla lavanderia a ritirare il soprabito e sentirvi in colpa di fronte ad un pensiero spuntato tanto inopportunamente proprio in quell’istante. Per restare soli con voi stessi, cosa che capita di rado anche perché quando annusiamo che il momento sta arrivando, troviamo subito qualcosa da fare. Tranne che alla fine dell’Amidà se avete finito prima della ripetizione, mi viene da dire, ma sospetto che sia un caso raro (sia finire prima, sia fermarsi a riflettere, invece di guardare il cappello della signora davanti o salutare chi viene e chi va).
Bibi all’ONU ha non detto: gli Alleati sapevano dell’esistenza dei campi di sterminio e sono stati zitti. Aggiungo, i compagni di classe dei bambini espulsi da scuola nel 1938, sono stati in silenzio. Ebrei israeliani vengono ammazzati davanti ai loro figli, e i media perlopiù stanno zitti. Anzi no, ce lo raccontano, ma solo per parlare delle operazioni militari israeliane a seguito della ‘morte’ di due ‘coloni’. Che mi ricorda quando, negli anni bui dei kamikaze che si facevano esplodere nei caffè e sugli autobus, i terroristi venivano conteggiati tra i morti. Vero, tecnicamente erano morti anche loro. Quando non più tardi del 16 settembre Khamenei ha dichiarato che l’Iran sostiene e sosterrà chiunque lotti contro il regime sionista, la diplomazia internazionale è rimasta in silenzio.
Chi alza la mano per prendere la parola?
Sara Valentina Di Palma
(8 ottobre 2015)