9 ottobre, Roma non dimentica
Non c’è differenza tra chi attacca in queste ore civili israeliani inermi e chi, esattamente 33 anni e nel cuore di Roma, fa si macchiò dell’orrendo crimine dell’uccisione di un bambino di due anni e del ferimento di molte altre decine di persone. Questo il messaggio che si è voluto lanciare in occasione dell’anniversario dell’attentato al Tempio Maggiore del 9 ottobre 1982, celebrato quest’oggi nei pressi della targa che ricorda il piccolo Stefano Gaj Taché, giovane vittima innocente del terrorismo palestinese.
“È una ricorrenza dolorosa per tutti, che ricordiamo mentre assistiamo a una recrudescenza di odio contro Israele e la sua popolazione. La matrice ideologica è la stessa ed è un fatto che va denunciato chiaramente” spiega la presidente della Comunità romana Ruth Dureghello dando inizio alla breve cerimonia di raccoglimento che si svolge alla presenza dei familiari di Stefano e degli studenti della vicina scuola ebraica. Il rabbino capo Riccardo Di Segni parla a sua volta di “ferita incancellabile” e invita all’impegno comune per “rinsaldare” e “rinvigorire” il senso identitario collettivo. Perché, spiega il rav, l’identità è un qualcosa di prezioso che ci appartiene e che “nessuno potrà portarci via”.
Contro l’odio e contro le nuove minacce, esorta il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, “ciascuno deve svolgere il proprio ruolo, monitorare ciò che accade attorno a sé, agire all’interno di una rete compatta e unitaria”. Lo stesso presidente Gattegna ha poi rivolto un caloroso apprezzamento per l’apporto fornito oggi dalle forze dell’ordine nella tutela delle istituzioni ebraiche.
Ad intervenire anche il fratello di Stefano, il Consigliere comunitario Gadiel Tachè, gravemente ferito a sua volta nell’attacco, che ha ricordato con amarezza l’assenza più grave in quella giornata terribile: proprio quella di chi avrebbe dovuto vigilare. E invece non c’era. (a.s twitter @asmulevichmoked)